Il termine omofobia, attualmente spesso sostituito dalla parola “omonegatività” , è stato introdotto per la prima volta nel 1972 dallo psicologo George Weinberg. Esso definisce l’insieme di timori, ostilità, odio avversione, comportamenti e opinioni discriminatorie nei riguardi di gay o lesbiche. Daniel Borrillo, studio so delle origine storiche dell’omofobia, ha avuto modo di scrivere: “ Come la xenofobia, il razzismo o l’antisemitismo, l’omofobia è una manifestazione arbitraria che consiste nel definire l’altro come contrario, inferiore o anomalo. Nella sua irriducibile differenza, l’altro viene situato altrove, al di fuori dell’ambito comune degli esseri umani” (Borrillo, 2009, pag.7).Tramite il vedere l’omosessuale antropologicamente diverso ed estraneo, le persone omofobe finiscono con il considerare gli omosessuali dei pericolosi pervertiti, sempre e comunque “sbagliati”. La reazione di una persona omofoba, dinanzi ad una persona omosessuale, può variare dal semplice disagio ed arrivare fino al ricorso alla violenza. Gli omofobi non riconoscono dignità al sentimento d’amore omosessuale e non vorrebbero vederne riconosciuta l’esistenza. Tali forme di omofobia, cioè quelle manifestazioni omofobiche messe in atto da persone etero sessuali nei confronti di omosessuali, costituiscono l’omofobia esterna. Esiste anche un’altra forma di omofobia, l’omofobia interiorizzata, sarebbe a dire quel sentimento di disprezzo o inferiorità che alcune persone gay/lesbiche nutrono nei riguardi di se stesse. Più sottile e meno visibile, l’omofobia interiorizzata è, psicologicamente parlando, più insidiosa, perché trama come un nemico interno non facile da fronteggiare.
Ricorrendo ancora a Borrillo, possiamo dire che in molti omosessuali “l’odio della società nei confronti degli omosessuali si trasforma in odio verso se stessi…Lo stereotipo ancora diffuso dell’omosessuale incapace di una vita affettiva piena e senza famiglia, ridotto a finire le sue giornate in una solitudine insopportabile, spesso risolta con il suicidio, ossessiona molti gay che, per evitare tale tragico destino, si impegnano in un’opera di rifiuto della loro sessualità” (Borrillo, 2009, pag. 101). Questo odio verso se stessi costituisce la base per un nucleo psichico di omofobia interiorizzata che inevitabilmente condiziona lo sviluppo individuale. Nonostante l’evenienza, infatti, che tale nucleo possa esprimersi in vari gradi e in modi dipendenti dal contesto di appartenenza e dalla fase evolutiva che si sta attraversando, incide sempre in modo pervasivo sul benessere psico-fisico. Una cronica omofobia interiorizzata può portare l’individuo omosessuale a condurre una vita affettiva priva di importanti relazioni sentimentali . Può altresì creare serie difficoltà nel proseguimento degli studi e da adulti nella sfera professionale, dal momento che chi ne è affetto si percepisce perennemente inadeguato rispetto agli altri. I disturbi più classici con cui può trovarsi a fare i conti chi soffre di omofobia interiorizzata sono: ansia, depressione, problemi di autostima, mania di perfezionismo, dipendenza (da alcolici, droghe, cibo), sessualità compulsiva.
Un buon percorso terapeutico può aiutare la persona omosessuale, afflitta da omofobia interiorizzata, a superare il proprio disprezzo per se stessa, facilitandola nel cogliere l’importanza del saper accettare, e sviluppare appieno, la propria individualità. Ovviamente in questo articolo ci riferiamo ad un’omosessualità sentita e corrispondente alla natura della persona, e non a quelle forme di omosessualità “non genuine”, ovvero quelle condotte omosessuali o lesbiche messe in atto per evitare un rapporto con ciò che è diverso, o quelle forme di omosessualità o lesbismo che servono per stabilire un contatto psichico con il maschile o con il femminile che per qualche ragione, nel corso dello sviluppo, non c’è stato. Tornando a parlare del gay, o della lesbica, che, vista la omofobia interiorizzata, non riesce ad accettare la propria indole sessuale, possiamo dire che ciò spesso non è accaduto, o non accade, perché su ogni aspetto dell’esistenza pesa un forte senso di vergogna e colpa per la propria condizione. Vittorio Lingiardi, psicoanalista contemporaneo esperto in materia di omosessualità, ritiene che l’analisi psicologica di questi sentimenti “rappresenti un passaggio obbligato per l’acquisizione di un’identità armonica e per il raggiungimento di relazioni interpersonali soddisfacenti” (Lingiardi, 1997, pag. 13). Nel processo di elaborazione di vergogna e colpaè come se la psicoterapia dovesse aiutare il gay o la lesbica a domandarsi quale vita è degna di essere vissuta: una vita che si risolve in una finzione, o una vita autenticamente sentita? La domanda è chiaramente retorica, perché la vita, di chiunque, ha valore solo se è intrisa di un profondo senso personale. Per riuscire in ciò una buona analisi non deve cadere nella “trappola” di provare ad indagare le cause dell’omosessualità, perché in tal modo è come se si ripetesse all’interno della stanza analitica la stessa tendenza della società più ampia ad etichettare e considerare deviante l’orientamento omosessuale. Bisogna invece partire dal presupposto, ormai diffusamente condiviso in psicologia, che l’omosessualità è una semplice variante, come del resto dimostrano alcune ricerche su alcuni tipi di animali, del modo di vivere il desiderio sessuale. Partendo da questo punto, un percorso psicoterapeutico può garantire una certa possibilità di superare l’omofobia interiorizzata, perché si può finalmente iniziare a parlare, non dell’omosessualità, ma della persona omosessuale con tutti i suoi bisogni, desideri, limiti e pregi.