Nel corso della sua opera C.G. Jung tocca il tema dell’Ombra in tantissimi lavori. Lo fa già nel testo che ne segna il distacco da Freud, Simboli della Trasformazione, dove definisce l’Ombra “la parte inferiore della personalità”; ne “La Psicologia dell’Inconscio” nel momento in cui, distinguendo tra inconscio personale e collettivo, afferma che il primo coincide con l’Ombra personale e che nel secondo “Il diavolo è una variante dell’archetipo dell’Ombra”; nel monumentale lavoro sulla tipologia laddove suggerisce, per quanto poi il termine Ombra non compaia nelle definizioni, che l’introverso e l’estroverso sono l’uno l’Ombra dell’altro; ne “L’Io e l’inconscio” nel quale analizza le possibili conseguenze del contatto con l’Ombra; ne “Gli ‘Archetipi dell’inconscio collettivo” dove sottolinea come l’Ombra sia un problema che coinvolge l’uomo nel suo complesso; ne “La Lotta con L’Ombra” e in „Presente e Futuro” che costituiscono scritti in cui mostra con estrema chiarezza come l’Ombra venga costantemente proiettata; e in tanti altri lavori che adesso, per non dilungare troppo l’esposizione, non verranno citati.
Probabilmente, però, si può dire che tratti l’Ombra in maniera più estesa e sistematica in alcune opere in cui egli ha ormai maturato una conoscenza profonda e solida dell’alchimia, come possiamo notare nel saggio sulla Trinità o meglio ancora in Psicologia e Alchimia o in Aion, dove pone rispettivamente l’attenzione sul rapporto tra funzione inferiore e totalità psichica e sulla necessità di separare l’Ombra dall’ Anima e dall’Animus, ovvero rispettivamente dalla controparte psichica femminile in un uomo e da quella maschile in una donna.
Sintetizzando, nella speranza di non cadere in un’eccessiva semplificazione di un argomento tanto complesso, possiamo notare come Jung tratti il tema dell’Ombra da 4 angolazioni diverse che costituiscono strati diversi di quest’area psichica. Ad un primo livello, afferma lo studioso zurighese rispondendo ad una specifica domanda in proposito nel seminario sull’analisi dei sogni, è Ombra tutto ciò che non è cosciente. A questo livello l’Ombra ha un rapporto molto fluido con la coscienza. Da una prospettiva già più „strutturale“ l’Ombra è quell’insieme di rappresentazioni psichiche, per qualche motivo rifiutate dalla coscienza, che vanno a formare un complesso affettivo autonomo opposto al complesso dell’Io. Siamo a questo livello nel perimetro dell’Ombra personale. Progredendo verso strati psichici più distanti dalla coscienza, l’Ombra diviene invece prima „collettiva“, intesa come Ombra di una determinata società, e poi archetipica, ovvero parte integrante e strutturale della totalità psichica, il Sè.
L’Ombra Archetipica, sempre secondo Jung, richiama necessariamente il tema del Male, come testimoniano tutti quei miti, egiziani-greci-romani, in cui c’è una netta contrapposizione tra figure benevole e malevole. In altre parole, Horus e Seth, Zeus e Ade, e altre coppie di opposti, forniscono un’idea della totalità psichica che risiede nell’anima dell’uomo che nel complesso non esclude affatto l’Ombra Archetipica.
Essendo, al pari del Bene, parte della totalità psichica, il Male ha per Jung ha una sua sostanza, non è semplicemente dovuto ad una privatio boni. Egli, non a caso, contesta molto duramente la dottrina di Sant’Agostino e della Chiesa secondo cui il Male sarebbe appunto una diminuzione del Bene. Con una battuta sarcastica, Jung dice che l’idea della privatio boni sarebbe più o meno come sostenere che il freddo è una diminuzione del caldo, quando è invece evidente che sono due fenomeni entrambi esistenti in natura. E così come esistono il caldo e il freddo in Natura, nella stessa Natura, e per estensione nell’anima dell’uomo, esistono il Bene e il Male.
Riconoscendo, ovvero non sottovalutando, in maniera così marcata l’importanza dell’Ombra [1], Jung ha sempre sottolineato con energia la necessità di esserne consapevoli.“Risposta a Giobbe“ è lo scritto junghiano di cui Jung stesso, come testimonia una lettera indirizzata a Padre Victor White, era maggiormente soddisfatto. La vicenda di Giobbe è piuttosto nota, ma vale la pena di ricordarla brevemente. Giobbe, che era ritenuto il più pio die fedeli, rimane“ vittima“ di una scommessa tra Yaweh e Satana nella quale quest’ultimo insinua in Yaweh il dubbio che Giobbe gli sia fedele solo perchè dalla vita ha tutto. Da quel momento su Giobbe cadono le peggiori disgrazie: perde il bestiame, la ricchezza, la moglie e le figlie. Il povero Giobbe non capisce cosa sia successo e non, accontentandosi delle risposte dei saggi della comunità, arriva ad avere udienza dinanzi a Dio. Giobbe chiede il perchè, e Yaweh si limita a rispondere glorificando la sua onnipotenza senza fornire una vera spiegazione a Giobbe. Come sappiamo, in seguito Giobbe verrà poi ricompensato. Nell’interpretazione di Jung, Giobbe ha una consapevolezza maggiore di Yaweh, il quale pare non rendersi conto dell’immoralità di una scommessa tanto crudele su Giobbe, e proprio in virtù di ciò gli funge da specchio, ovvero gli permette di riflettere su se stesso. Secondo Jung, Yaweh è inconsapevole, per quanto onnipotente, di chi sia realmente Giobbe e ciò spalanca le porte al Male.
Tale assenza di consapevolezza che apre le porte al Male, potremmo dire al Male che alberga dentro ognuno di noi, impone una riflessione sul come possiamo intendere la consapevolezza. La consapevolezza, rimanendo ancora su Jung, non può coincidere con la semplice conoscenza intellettuale, bensì è un fenomeno fondato sul sentimento, ovvero sul riconoscere il valore di un processo psichico.
La psicologia junghiana, non solo con Jung, ma anche con Marie-Louise Von Franz, ha ampiamente evidenziato come una coscienza carente nella funzione sentimento rischi di essere una coscienza senza etica, sarebbe a dire una coscienza incapace di cogliere fino a fondo la portata di un fenomeno psichico con inevitabili conseguenze sulla reale possibilità di compiere scelte intimamente personali nella propria esistenza.
Nel suo lavoro Von Franz, mentre discute di Ombra – Male – Etica, distingue tra male caldo e male freddo permettendo a tutti gli studiosi, non solo di cogliere una variegata fenomenologia dell’Ombra, ma anche di capire ad un livello diverso l’importanza del sentimento dinanzi al Male. Von Franz paragona il male caldo ad un’esplosione affettiva, ad un fuoco, causato dall’essere afferrati da una violenta emozione, che divampa all’interno della personalità rendendola cieca; mentre ritiene il male freddo una sorta di elemento congelante all’interno della personalità, in mitologia spesso incarnato da giganti di ghiaccio, pronto a gelare ogni prospettiva vitale. E dinanzi ad entrambe queste forme di male, di ombre, abbiamo necessità di un sentimento vivo e vigile.
Proviamo in ogni caso a fare un breve esempio tratto dalla clinica per argomentare meglio quanto scritto poc’anzi sulla relazione tra assenza di sentimento da una parte ed etica e male dall’altra. Prendiamo una paziente severamente anoressica che ha talvolta improvvise crisi bulimiche. Nel momento bulimico c’è foga, una fama atavica e feroce, un volere tutto. E’ come se la persona avesse un fuoco dentro, come se volesse divorare tutto. Un’attenta osservazione permette di notare come spesso queste ore critiche coincidano con l’essere dominati da un intenso vissuto interno, legato talvolta ad un amaro senso di ingiustizia, talvolta ad un lancinante senso di vuoto, talvolta a disperazione.
In altri momenti, non di rado presenti quando la persona anoressica sta uscendo dalla sua condizione, è come se comparisse un lato della personalità che suggerisce che ogni cosa è vana e che il mondo fa schifo, anche con argomentazioni intelligenti e sottili. Una voce seduttiva, ma di una seduttività distruttiva pronta a bastonare ogni nuovo spiraglio esistenziale. In un certo senso potremmo considerare le crisi bulimiche una forma di male caldo, ed alcuni fasi anoressiche una manifestazione di male freddo. Al fine di evitare di subire queste potenzialità di male insite nella personalità anoressica-bulimica nel suo complesso, è necessario che entrambe queste forme di male vengano affrontate con un sentire piuttosto differenziato. In parole più semplici, per la nostra ipotetica paziente sarebbe assolutamente terapeutico riuscire a vedere a toccare con mano tutto ciò, perchè in tal modo ella avrebbe la possibilità di non subire passivamente determinati stati psichici. In breve, perchè tale questione meriterebbe un approfondimento a se stante, questo toccare – vedere – sentire in ambito terapeutico è spesso legato all’analisi dei sogni. Il punto che qui sinteticamente si vuole sottolineare è che il sogno, essendo fatto principalmente da immagini impregnate di una carica affettiva, permette non solo di dare una forma, in questo caso al male [2], ma anche di sentire. Si, perchè se è evidente che il sogno permette di vedere un determinato contenuto psichico, va anche detto che grazie alla sua carica affettiva-emotiva pone una coscienza capace di aprirsi alla diversa prospettiva del sogno in condizione di sentire quello stesso contenuto psichico. E nel momento in cui la coscienza sente profondamente, coglie con l’immaginazione interna il Male, inizia anche „liberarsi“ di quelle ombre oscure che possono soggiacerla pesantemente.
[1] Per capire a fondo la necessità di non sottovalutare l’Ombra, è forse talvolta semplicemente opportuno ricordare come l’uomo nel Novecento sia stato capace di due conflitti mondiali e non possiamo certo immaginare che siamo, con pochi decenni, divenuti internamenti più pacifici.
[2] Come sappiamo attualmente grazie agli studi sul trauma di Donald Kalsched, il male caldo nei sogni è sovente rappresentato da vulcani, bombe, incendi; mentre il male freddo pare incarnato da figure che agiscono come un persecutore interno e/o da rettili a sangue freddo.