“Lettera di una Sconosciuta”: Il Dramma di un Amore non Corrisposto

“Lettera di una Sconosciuta”: Il Dramma di un Amore non Corrisposto“Lettera di una sconosciuta” di Stefan Zweig è un romanzo breve del 1922, scritto in maniera elegante e raffinata, che ha la capacità di lasciare basiti e di stucco. In un certo senso, è come se il lettore fosse portato a chiedersi: “Ma è possibile che questa storia vada così?”
La storia, in sintesi, è questa: un romanziere quarantunenne, affermato e benestante, riceve di soppiatto una corposa lettera dentro un plico non firmato. A scrivergli è una donna che l’ha sempre amato, che gli ha dato anche un figlio – morto da un giorno e che per questo, avvinta dalla disperazione, si è decisa a raccontagli tutto – , ma che, paradossalmente, lui non ha mai conosciuta, o meglio che da lui non è mai stata riconosciuta.

Leggendo la lettera, nel romanzo è sempre la donna a narrare, tutti i puzzle della storia vengono ricostruiti e messi in ordine. Lei vive sola con la madre, il papà è già morto, e fin da bambina rimane estasiata da questo giovane vicino di casa, uomo di cultura e di mondo, piombato all’improvviso nella sua vita. Lei inizia a studiarne i movimenti, a rimanere in attesa davanti allo spioncino del portone pur di vederlo anche solo rientrare. Insomma, appena lo vede per ella cambia tutto e nulla sarà più come prima: “Ricordo ancora, come fosse oggi, il giorno, anzi l’ora in cui per la prima volta sentii parlare di te, in cui per la prima volta ti vidi, e non potrebbe essere altrimenti giacché fu in quel momento che per me il mondo ebbe inizio.” Qualche volta, essendo vicini di casa è inevitabile, si incontrano e lui le sorride, più per buona educazione che non per una sincera curiosità verso questa bambina avviata verso l’adolescenza. E già egli comincia a mostrare una sua caratteristica: un guardare distrattamente senza mai vedere realmente.

Per qualche anno, lei, poi non ha più modo di incontrarlo e ammirarlo segretamente, perché la madre si trasferisce fuori Vienna ed è, vista la giovane età, costretta a seguirla. Farà di tutto, perché non riesce a stare lontana da lui, per tornare a Vienna. E ci riesce. Appena diciottenne torna in città, ed è ormai una donna. Si conoscono, e per tre giorni escono insieme, e fanno l’amore. Ella, però, non gli svela mai il suo nome, né gli racconta che prima abitava lì davanti a casa sua, né lui sospetta mai, neanche per una volta, che si tratti della sua ex vicina di casa. In quei tre giorni rimane incinta, ma il romanziere, spesso in viaggio, non ne viene informato. Ella teme che egli possa considerarla una manipolatrice, una poco di buono che ha cercato di ingabbiarlo, così decide di allontanarsi dalla sua vita, ma tuttavia è almeno contenta di avere qualcosa di suo. Ragazza madre – diremmo oggi – e stretta dalla povertà, inizia a frequentare uomini facoltosi. Ha dei compagni affettuosi, presenti, dolci, gentili, ma il suo cuore, nonostante il tempo passi, è sempre lì pronto per il suo adorato scrittore. E difatti alla prima occasione la sua passione divamperà. Circa dieci anni dopo i tre giorni passati insieme, una sera, mentre lei era in compagnia di un suo tenero fidanzato e di altri amici, si ritrovano vicini di posto a teatro. Bastano pochi sguardi e lei, persa di amore, accetta il suo invito a seguirla dileguandosi da fidanzato e amici. Trascorrono un’altra notte di amore nella lussuosa casa dello scrittore, ma lui, ancora una volta, non ha il minimo sospetto che lei fosse la ragazza di 10 anni prima, madre per giunta del suo bambino, né la ragazzina un tempo vicina di casa. E lei lì, ferma, immobile, sempre disposta ad aspettarlo, sempre in attesa di essere finalmente riconosciuta. Non andrà così. Anzi, peggio, la mattina seguente lui, le offre dei soldi, pensando, sorpreso dalla facilità con cui gli si è concessa, che fosse una prostituta di alto livello. Lei lì rifiuta, e scappa quasi in lacrime. In quel momento il fedele domestico dello scrittore la riconosce, lui per l’ennesima volta no. Quando lei però capisce che il domestico l’ha riconosciuta, fa un ultimo tentativo con il suo amato: gli chiede – ben sapendo che è lei stessa ad inviarle ogni anno in occasione del suo compleanno – come mai ci sono delle rose in casa, ma egli non coglie il retroscena della domanda e si limita a rispondere che gli arrivano così, senza sapere da chi e da dove vengano. Lei va via definitivamente e si farà poi viva con la lettera in cui gli racconta tutto.

Che dire? Indubbiamente l’elemento che appare più evidente è l’incredibile, stupefacente, cecità di quest’uomo. La prima volta in cui vanno a letto non riconosce in quella giovane ragazza la bambina che gli abitava di fianco, inoltre – questo per rimarcare il suo non vedere – durante la prima notte di amore non si rende neanche conto di come la giovane fanciulla fosse anche vergine. La seconda volta che si incontrano, anni dopo, di nuovo non la riconosce e, addirittura, come già detto, crede che sia una prostituta di alto rango. Circondato da tante donne, come si capisce dalla lettura del romanzo, sembra incapace di distinguere l’una dall’altra. Probabilmente per egli sono così talmente tutte uguali, che non gli viene mai, cosa che dovrebbe essere ovvia e scontata, di chiederle il nome. Se carine, se belle, pare che vadano tutte bene. Come considerarlo? Un egoista? Un uomo incapace di relazione? O, per essere più generosi, un Don Giovanni catturato realmente, più che da una donna in carne ossa, dalle sue fantasie? Forse ognuna di queste domande, un pochino retoriche, coglie qualcosa di questo uomo. Ma poi, tutto sommato, non sono poi così importanti, perché rimane il dato di fondo della sua cecità psichica.

A ben vedere, tuttavia, la cecità psichica riguarda anche la donna. Tutta la vita dietro ad un tizio del genere, solo ad un livello razionale e ormai prossima alla fine dei suoi giorni commenta il suo aver perso tempo: “Che cosa è mai stata in fondo la mia vita, dopo che ebbi superato l’infanzia, se non un’attesa: l’attesa della tua volontà?”

Come comprendere tutto ciò? Perché una donna così colta, intelligente, bella, come traspare dal romanzo, si è per alcuni versi buttata via in questo modo? Potremmo tentare di capire con le varie categorie diagnostiche del mondo psy, eppure se viste più da vicino, in questa specifica circostanza, non convincono. Si potrebbe immaginare, per esempio, una dipendenza affettiva? Da una parte sì perché ella pare dipendere da quest’uomo, pare che tutto ruoti intorno ad egli, allo stesso tempo, tuttavia, si muove in maniera completamente autonoma, come nell’occasione in cui decide di tenere il bambino senza informarlo. Potremmo immaginare la sua personalità come passivo-aggressiva? Anche questa etichetta non quadra del tutto. Anche quando alcuni passaggi della lettera assumono questo tono – per esempio quando gli rammenta il suo essere “un uomo viziato” – e pare colpevolizzarlo, il tutto sembra più essere frutto di una umanissima disperazione che non figlia dell’intenzione di ferire l’altro in maniera velata. E poi in fin dei conti, non si può tralasciare il fatto che con le sue scelte è come se fosse stata in primis aggressiva verso sé stessa per tutta la sua esistenza. Si potrebbe parlare di depressione? Sì, forse perché dalla lettera, come già accennato, trapela una cupa disperazione in cui tutto ormai appare privo di speranza e prospettiva. Tuttavia tale depressione-disperazione spiega le ultime settimane, non il resto della vita. Non dice nulla su questo amore eternamente  non corrisposto, su questo suo inossidabile attaccamento durante il quale lei non viene mai riconosciuta, e lui mai visto in termini più realistici.

Come comprendere tutto ciò? Come già detto in precedenza, per ella il mondo inizia nel momento in cui lo vede. Pare come se la sua esistenza, il suo stare nel mondo, di per sé avesse poco valore. Lei lo eleva moltissimo. In tanti passaggi della sua lettera liberatoria, gli attribuisce “originalità”, “mistero”, e fa più volte riferimento al sacro. Un po’ come se stesse parlando di un dio che dà senso al mondo. Da questa prospettiva, considera il suo compleanno una “ricorrenza mistica”, ritiene le sue parole “vangelo e preghiera”, sente in sé stessa “una reverenza sovrannaturale” nei suoi confronti. Non si ferma mai a vedere se tutto ciò appartiene ad ella a prescindere da lui, e forse è in questo meccanismo la chiave di volta per comprendere il cortocircuito della sua esperienza.

Più volte nel corso della sua opera Carl Gustav Jung parla, riprendendo il termine da Levy-Bruhl, di partecipation mystique. In “Tipi Psicologici” afferma con precisione che tale “partecipazione mistica consiste nel fatto che il soggetto non può distinguersi chiaramente dall’oggetto, ma è legato a questo da un rapporto diretto che si può chiamare identità parziale. Questa identità è fondata sull’originaria unità di oggetto e soggetto.” In sostanza, la partecipation mystique implica una non separazione tra sé e altro da sé. Se teniamo conto di questa condizione psicologica, possiamo dire che in “Lettera di una sconosciuta” lei certamente non viene riconosciuta, ma allo stesso tempo non si riconosce. Per esempio, vede in lui sensualità e spiritualità e non riesce ad immaginare/ipotizzare che queste qualità fossero in nuce presenti in sé stessa. Altro esempio: lei è affascinata dallo scrittore perché lo immagina, di fatto non può sapere se sia realmente così, un intellettuale e un uomo di cultura, e fatica proprio nel pensare che questo suo immaginarlo sempre alle prese con dei libri dica in primo luogo innanzitutto qualcosa sul suo fascino per i libri, e sul suo essere potenzialmente piena della volontà – si tenga conto che il libro ha ormai un secolo e la condizione della donna al tempo era certamente peggiore di quella attuale – di sviluppare idee, pensieri, ed altro per mezzo della cultura. Ancora: lo ritiene sensuale, e probabilmente lo era, ma fatica a pensare che come donna possa desiderare ella stessa di poter vivere la sua sensualità. Tutto, in sostanza, passa per mezzo dell’altro. Queste qualità positive, quali per l’appunto il binomio sensualità-spiritualità, non appartengono al soggetto, nel nostro caso la donna, bensì sono pensate come esistenti solo all’esterno. In un momento di estrema e drammatica lucidità nella sua lettera scrive: “Proiettai così su di te tutto ciò che altrimenti si disperde e si dissipa, su di te proiettai l’intero mio animo che, pur compresso, tornava sempre a espandersi, impaziente. Tu eri per me – come dirtelo? -, qualsiasi paragone sarebbe riduttivo -, tu eri tutto, eri l’intera vita mia.” Come si vede una radicale non distinzione tra il proprio animo e l’esterno, che purtroppo, questa donna così piena di sofferenza, coglie solo verso la fine dei suoi giorni, quando ormai il destino pare già essere scritto. Se fosse riuscita prima a parlare e a pensare in termini di proiezione, forse avrebbe compiuto scelte differenti nella sua vita. Perché il parlare di proiezione è di per sé spia di una certa consapevolezza, in quanto essa presuppone, a rigor di logica, che ci sia il sentore e/o il forte sospetto che qualcosa di proprio sia stato attribuito all’altro, senza che in quest’altro tale aspetto sia realmente presente. In sostanza, per lei sarebbe stato un bel passo in avanti verso un salutare distinguere sé stessa dall’altro. Mentre in tutto il romanzo ella non riesce mai ad emergere da una nebulosa condizione di non distinzione tra lei e il suo scrittore che, come testimonia il racconto della sua esistenza, la conduce a scelte distruttive.

Perché parlare di questo breve romanzo? – ci si potrebbe chiedere – perché il tutto nel romanzo appare certamente estremo, con un che di forzato, tragico, apodittico, eppure potremmo rispondere alla domanda posta poc’anzi con un’altra domanda: quante volte, anche oggi, in maniera più sottile e molto meno evidente, in una storia d’amore si fatica enormemente a capire a distinguere cosa appartiene a sé e cosa all’altro?

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