Nostalgia è un termine relativamente recente. Introdotto dall’alsaziano Johannes Hofer nella sua tesi di laurea in medicina del 1688, dal suggestivo titolo Dissertatio medica de nostalgia, si compone delle parole greche nòstos (ritorno) e algia (dolore) e quindi dolore per il ritorno. Ricorrendo ad un termine greco, l’intenzione di Hofer rispondeva ad una tipica esigenza medica del periodo: convogliare un insieme di sintomi sotto un nome per così dire scientificamente neutro, al fine di sottrarre l’oggetto di studio da un ambito più letterario e filosofico.
E certamente la nostalgia, o meglio il vissuto della nostalgia, è stato fonte di interesse per filosofi e scrittori, basti pensare, a mò di esempio, alla ricerca struggente dell’altro luogo di cui ci parla Platone nel Fedone, oppure all’Ulisse omerico che insegue il ritorno nell’amata Itaca per lunghi anni superando numerose disavventure. Non a caso Hofer propose di sostituire il tedesco Heimweh, simile al mal du pays francese o all’homesickness inglese, con nostalgia. Hofer osservò la nostalgia nei soldati svizzeri che, lontani dai villaggi e dalle montagne natie, potevano anche morire per questa condizione. E proprio in virtù di ciò una malattia da riportare nell’alveo della medicina. Per quanto Hofer ricercasse cause organiche e fattori esterni in grado di spiegare la nostalgia, quali per esempio la qualità dell’aria, finì con il considerarla un disturbo dell’immaginazione. Descrisse infatti i soldati svizzeri come chiusi agli stimoli esterni e dominati da un’idea fissa, capace di catturare e paralizzare l’immaginazione su un solo specifico tema. Per quanto la terapia prescritta da Hofer fosse piuttosto semplice, e coincideva con il tornare a casa, possiamo notare come la diagnosi di Hofer chiamasse a tal punto in causa spiegazioni di natura psicologica, da favorire in seguito un certo interesse per l’argomento da parte di psichiatria e psicologia. A far crescere in misura ancora maggiore l’interesse delle discipline psy per la nostalgia, hanno contribuito le argomentazioni di Immanuel Kant. In Antropologia lo studioso tedesco ha sostenuto che la nostalgia non è verso un luogo, ma verso un tempo. Più esattamente, parlando di nostalgia, suggerisce che il desiderio non consiste nel tornare in un luogo, bensì nel tempo della giovinezza. Proprio per questo, secondo Kant, la terapia del ritorno non funziona: tornando indietro si scopre che un certo periodo è ormai passato, e ciò è più fonte di delusione che non di guarigione.
Tornando al punto di poco sopra relativo all’influenza di Kant sui futuri studi psicologici in tema di nostalgia, c’è notare come il suggerimento kantiano di considerare la nostalgia come il desiderio di ritornare ad un tempo, diverrà, secondo diversi studiosi, il desiderio di voler tornare nel paradiso perduto della prima infanzia, sotto l’alone protettivo delle figure genitoriali. In primis Freud, sviluppando la nozione di regressione, implica costantemente il possibile ritorno ad una condizione precedente durante il corso dell’esistenza. Infatti, in maniera non casuale, la nostalgia, questa voglia di tornare indietro, si attiva spesso dinanzi ad un momento piuttosto difficile: con un lutto; con la fine di un amore; con la perdita di un lavoro. La persona inizia cioè ad essere nostalgica, a rifugiarsi e a trovare conforto in un posto che agisce, secondo i teorici dell’attaccamento, come una base sicura.
La persona, se “presa” in maniera veramente forte della nostalgia, è contemporaneamente presente e assente rispetto all’attualità, nel senso che è fisicamente presente, ma spesso mentalmente altrove. Inizia un elogio del “come eravamo” che, per usare un’espressione di Antonio Del Prete, autore di un bel saggio sul tema nostalgia, fa entrare nel “regno dell’incanto”. Se questo tornare indietro, se questo sostare in una base sicura diventa cronico, la nostalgia si trasforma in un’idealizzazione del passato che rischia di fungere da “trappola” che blocca la persona rispetto alla sua attualità. In base a quanto detto sino ad ora, la nostalgia, il continuo rimpianto, che attraversa il racconto di tanti pazienti in analisi, può essere “letta” come un modo per eludere una crisi del presente. Tuttavia, il pensare la nostalgia solo come un’idealizzazione del passato che serve ad evitare un momento critico contingente pare eccessivamente riduttivo, o meglio pare coglierne soltanto l’aspetto difensivo. Inquadrare la nostalgia in questi termini trascura infatti di considerare le capacità auto-curative della psiche di junghiana memoria: se una persona idealizza così tanto un periodo della sua vita, deve in qualche modo intuire che in tale passato si nasconde qualche perla psichica preziosa da riscoprire. Se una persona si dedica ad un’analisi attenta ed intellettualmente onesta del passato, ne riconosce con relativa facilità i limiti e la forte diversità del contesto psicologico attuale da quello in cui il passato stesso si svolgeva, e pertanto possiamo immaginare che il valore del passato non è dato dal suo ripeterlo concretamente, ma dal coglierne la sua essenza psichica. Proviamo ad approfondire meglio tale passaggio. Come accennavamo poc’anzi, in analisi capita soventemente di ascoltare pazienti che, in un momento particolarmente critico della loro esistenza, tornano su eventi e periodi, quali un primo amore, un’amicizia adolescenziale, il periodo degli studi e via discorrendo, che paiono molto lontani dalla fase attuale. E ciò, a prima vista, potrebbe sembrare piuttosto sorprendente. In realtà, se tali persone potessero con un colpo di bacchetta magica tornare veramente indietro, ben presto scoprirebbero che, come per alcuni versi aveva già notato Kant, quel ritorno al passato non costituirebbe la soluzione a ogni difficoltà presente. Per la semplice ragione che nel frattempo si è cambiati, ci sono state altre esperienze, altre relazioni, altri bisogni, interessi e passioni. Ma nulla toglie che questo movimento temporale possa avere la sua funzionalità psicologica. In effetti, tale oscillazione temporale serve proprio a capire quali atteggiamenti psicologici del passato possono essere spendibili nell’attualità. E’ come se una persona dovesse chiedersi: quale spirito di una certa fase conserva ancora una linfa vitale per il mio presente? Seguendo tale domanda, questo viaggio temporale tra passato e presente potrebbe, per esempio, portare a riscoprire l’importanza di essere aperti e ingenui rispetto al nuovo, in maniera non troppo diversa da come lo si poteva essere in adolescenza; oppure potrebbe condurre al ritrovare un atteggiamento meno disilluso, capace di lasciarsi sorprendere e cogliere il bello, che spesso è più vicino all’assetto psichico di un bambino che non a quello di un adulto. Più in generale, questo oscillare tra passato e presente dovrebbe facilitare il ritrovare un sentimento di piena voglia di partecipare alla vita nelle sue varie forme che, spesso, viene compromesso da situazioni critiche contingenti. Probabilmente, quando Antoine De Saint Exupéry scriveva: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere legna e distribuire compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito”, tentava di afferrare la possibilità insita nella nostalgia di suscitare, per mezzo di questo tuffo nel passato, una spinta ad agire e al partecipare attivamente al presente e al futuro. Vista da questa angolazione, la nostalgia può quindi essere intesa non solo come una difesa dal dolore, ma come la spia della necessità di compiere un approfondito movimento circolare tra passato e presente utile nel trovare la possibilità di rinnovarsi attingendo dalla propria storia personale.