La dipendenza affettiva è una condizione relazionale caratterizzata da una cronica assenza di reciprocità. Il dipendente affettivo fatica nel conservare la propria individualità in un rapporto, a mettere dei confini fra se stesso e l’altro. Si attacca eccessivamente , nutre l’ aspettativa che il proprio benessere dipenda dall’altro, teme costantemente l’abbandono, la solitudine, e proprio tali paure lo portano ad essere sempre più geloso ed ossessivo verso il partner. La persona dipendente affettivamente cerca approvazione, la ricerca a tal punto da prendere decisioni accomodanti e non realmente sentite. Ha un atteggiamento negativo verso di sé, nutre un forte senso di inadeguatezza. In poche parole, la persona con dipendenza affettiva perde la sua libertà.
La letteratura psicologica sottolinea come nelle storie di vita di persone dipendenti affettivamente si riscontrino di frequente o genitori incapaci di soddisfare gli autentici bisogni del figlio, o famiglie iperprotettive. Certamente, anche se è difficile stabilire in che misura, queste diverse situazioni familiari influenzano il tratto psichico più marcato nelle persone con dipendenza affettiva: la tendenza ad instaurare un legame simbiotico con il partner senza avere la possibilità di rinunciarvi.
Per Verena Kast “la persona che vive in una condizione simbiotica si sente parte di qualcosa che la accoglie, le offre protezione e la solleva dal tormento di dover prendere decisioni. Non si tratta tuttavia di una protezione serena in quanto esige continue conferme, che costano ansia e un adeguamento totale, poiché la persona che vive un rapporto simbiotico ne teme la fine” (Kast, pag. 89, 2007). Tutti nella vita cerchiamo protezione, accoglienza, in particolar modo nei momenti esistenziali più difficili. A tal proposito si pensi che alcune teorie psicologiche, quella della Mahler per esempio, descrivono l’intero arco vitale come un alternarsi tra fasi di avvicinamento ad una base sicura, in cui si ricerca appunto protezione, sicurezza, calore, ristoro, con fasi di separazione-individuazione caratterizzate da un esplorazione di se stessi e dell’ambiente. Nel rapporto simbiotico tutto ciò non succede, non può essere tollerata la separazione, e il non tollerare lo stato di separazione costituisce il cuore della dipendenza affettiva. In questo stato di non-separazione, in gioco non è tanto la relazione con l’altro, quanto il proprio senso d’identità più profondo che viene confermato o disconfermato dalla presenza dell’altro. In “La Rabbia delle Donne” Monica Morganti scrive: “Quando finisce un amore o veniamo tradite non soffriamo solo per la perdita dell’oggetto d’amore, ma soprattutto per il fatto che allontanandosi da noi l’altro ci comunica il nostro non valore….quando l’altro se va rimaniamo senza il nostro valore che avevamo depositato in lui” (Morganti, pagg.32-33, 2006). In sostanza nella dipendenza affettiva non ci si limita a fidarsi dell’altro, ma ci si affida all’altro.
In linea generale, per quanto ogni caso ed ogni persona siano diverse dall’altro, si può dire che il paziente con dipendenza affettiva deve essere aiutato a non far dipendere la propria identità dall’altro, rimettendo, nel senso positivo del termine, se stesso al centro della propria vita psichica. Come? Acquisendo consapevolezza di sé, delle dinamiche psicologiche caratterizzanti la propria storia, dei propri mezzi e delle proprie possibilità. A livello terapeutico ciò avviene prestando attenzione agli aspetti inconsci insiti nella relazioni interpersonali passate e presenti, e attraverso l’analisi dei sogni. Nei sogni di persone simbiotiche, secondo la Kast, compaiono, con frequenza fuori dal comune, figure sconosciute che assumono il ruolo di guida per il sognatore. Queste guide oniriche aiutano il paziente a sviluppare quegli aspetti della personalità che generalmente nella simbiosi non trovano spazio. Kast (2007), per esempio, riporta il caso di un suo paziente con dipendenza affettiva che sognava ripetutamente di scalare montagne con una guida alpina. Grazie al lavoro con questi sogni questo paziente ha imparato a scalare le montagne personali della sua vita, traendo dalla guida onirica il giusto coraggio, la giusta dose di pazienza e l’umiltà necessaria a chi si appresta a scalare montagne. E’ come se il lavoro con i sogni, dice la Kast, avesse facilitato il paziente nello sviluppare un rapporto con un proprio compagno interiore, in grado di aiutare il sognatore ad uscire da una dimensione di dipendenza affettiva con un altro reale. Uscendo dal nostro esempio, e volendo concludere il nostro articolo, possiamo dire che il percorso terapeutico per la persona con dipendenza affettiva è molto utile rispetto all’iniziare ad apprendere la faticosa arte dell’imparare a camminare da soli.