Immagini Interiori ed Etica

Chiedersi cosa sia la realtà può sembrare piuttosto ozioso, perchè intuitivamente tutti pensiamo di sapere cosa essa sia. Tuttavia, se provassimo a fornirne una definizione esaustiva ci troveremmo subito a confrontarci con un oggetto di studio che presenta più livelli di analisi al suo interno che inevitabilmente lo rendono alquanto più complicato e complesso di quanto potrebbe sembrare a prima vista.

Per esempio, conta più il mondo delle idee, come sosteneva Platone, o quello dei sensi ? Oppure, la realtà coincide con ciò che è presente in un dato momento, o è anche qualcosa in potenza come riteneva Aristotele ? O ancora, la  realtà ha un suo significato autonomo, o lo ha, come suggerivano Cartesio o Berkeley, se c’è qualcuno che glie ne attribuisce uno nel momento stesso in cui essa viene percepita ? Domande interessanti e spinose che danno l’idea di come l’argomento sia esteso e sfaccettato.

Con ogni probabilità, ognuno di noi, come ebbe modo di dire una volta Kant, soffre di realismo ingenuo. Pensiamo cioè di sapere esattamente cosa sia la realtà, ma essa in se per sé è inconoscibile perchè nel percepirla siamo inevitabilmente condizionati dalle nostre categorie percettive a priori. Banalmente, se vediamo un albero con il tronco marrone e con la chioma verde non è detto che esso sia realmente così come lo vediamo, perchè il nostro modo di vederlo risente del funzionamento della nostra specifica retina e del nostro nervo ottico. Se fossimo gatti, o gufi, o qualunque altro animale, vedremmo l’albero in un altro modo perchè avremmo una struttura percettiva differente. E noi non possiamo sapere con certezza assoluta se è , per così dire, più „vero“ l’albero che vede il gatto o quello che visualizziamo noi. In questo senso, dice Kant, la realtà è inconoscibile in se per sè, perchè ad essere precisi si può al massimo dire come noi la percepiamo e non si può dare per scontato che tale nostra percezione coincida esattamente con la realtà esterna. In sintesi, tutto è filtrato dalla nostra soggettività.

Basandosi su quest’osservazione kantiana, la psicoanalisi, in particolare con Jung, è arrivata a definire la realtà come „ciò che agisce“. Così, è reale un contesto sociale esterno che influenza la psiche e il comportamento di un individuo, ed è altrettanto reale un’immagine interna capace di condizionare l’intera personalità e l’agire. In questo breve articolo, ci concentreremo sulle immagini interne e sul loro rapporto con la realtà esterna.

Per capire la determinante importanza dell’immagini nell’incidere sulla condotta di ognuno, siano consentiti un paio di esempi che, volendo, potrebbero essere piuttosto familiari per chiunque di noi. A tal proposito, si può tornare con la memoria a  quando prima di costruire materialmente la propria futura casa essa sia stata prima immaginata e disegnata su carta e solo poi realizzata, oppure al momento, sempre disorientante, in cui si inizia a notare una certa differenza tra l’immagine interiore della/del partner, che ha dato luogo magari all’innamoramento ed ha attivato il desiderio, e la persona reale.

Una volta assodato il valore delle immagini interiori nell’incidere sulla vita di ogni individuo, in ambito clinico è venuto spontaneo chiedersi: „Se le immagini condizionano l’agire, possono essere anche terapeutiche?“ Si, diremo subito, se contribuiscono ad elaborare in forma nuova determinati vissuti emotivi e se vengono „accolte“ da una coscienza etica. Nella sua auotobiografia „Ricordi, Sogni, Riflessioni“, Jung nel commentare un periodo difficile e di disorientamento della sua vita scrive: “Finché riuscivo a tradurre le emozioni in immagini e cioè a trovare le immagini che in esse si nascondevano, mi sentivo interiormente calmo e rassicurato. Se mi fossi fermato alle emozioni, allora forse sarei stato distrutto dai contenuti dell’inconscio” (Jung, 1961, pag. 219). Le immagini infatti svelano, mostrano qualcosa che non si conosceva, permettono di vedere un qualcosa da una prospettiva diversa facendogli quindi assumere un significato e un valore diverso, contengono, in tre parole, una preziosa linfa vitale.

In effetti tutta l’artepsicoterapia si basa su questo potenziale curativo insito nelle immagini. Storicamente quest’ambito della psicoterapia è nato per aiutare i reduci traumatizzati  dalla seconda guerra mondiale che, sopraffatti da tanto dolore, non riuscivano più a ricucire e a ricomporre le fratture e le ferite suscitate dal dover partecipare a tanta violenza. L’arteterapia infatti, soprattutto nel filone derivante dal lavoro di Edith Kramer, non è stata e non è solo uno strumento per far emergere dei contenuti latenti, bensì ha costituito e costituisce un’esperienza creativa curativa di per sé perchè capace appunto di dare una possibile forma intuitiva e simbolica a dolori e sofferenze che la parola da sola non riesce ad esprimere. L’arteterapia, con le sue varie forme espressive, ha permesso di dare una rappressentazione a ciò che era fondamentalemente indicibile allora e continua anche oggi ad aiutare tutti coloro che per un motivo o per un altro, anche senza vivere fortunatamente situazioni così estreme, non possono e/o non riescono a dare voce a blocchi e difficoltà paralizzanti. E l’arteterapia passa per le immagini: in maniera evidente quando si realizza tramite il disegno, la pittura, la manipolazione di materiale, e in maniera più sottile quando essa si basa su delle immagini tridimensionali animate da persone come nel caso del teatro usato a scopo terapeutico o nella danzaterapia.

Anche nel Gioco della Sabbia, metodo terapeutico ideato da Dora Kalff, si osserva all’opera la potenza trasformativa delle immagini, anche in questo caso tridimensionali. Nel momento in cui una persona ha a disposizione una quantità pressochè illimitata di oggetti di varia grandezza che riproducono il mondo, quali uomini – animali – armi – edifici – macchine – piante – natura, ella è infatti posta nella condizione di poter dare un’espressione simbolica ad aspetti che altrimenti non riuscirebbe ad esprimere. La composizione che viene fuori nella sabbiera, che nel suo complesso costituisce un’immagine, mostra le sue possibilità curative perchè anche in questo caso, al pari dell’arteterapia, precede la parola. Le immagini, in sostanza, aprono spazi e possibilità elaborative.

Tali aperture di spazi e possibilità elaborative determinate dalle immagini interiori necessitano, come si accenava poc’anzi, comunque dell’ascolto della persona da cui le immagini stesse sono sgorgate per far sì che tutto ciò dispieghi al meglio il suo potenziale. Senza quest’attenzione cosciente l’esperienza terapeutica insegna che le immagini potranno essere solo parzialmente curative. In parte conserveranno la loro salutare efficacia, in parte no. Parzialmente saranno in ogni caso un aiuto perchè se paragoniamo la psiche ad un organismo, che al pari di ogni altro organismo vivente si propone di vivere e di evolversi attraverso delle possibilità autoregolative, possiamo ritenere che la capacità della psiche-organismo di autoregolarsi passi proprio per questa sua capacità immaginativa simbolica volta a tutelare l’unità della personalità globale. Bianca Garufi, psicoanalista esperta di immagini interiori, osserva: „La psiche è il contenitore di tutti gli aspetti della personalità, il suo scopo, la sua finalità, è sempre quella di autoelaborarsi, portandoci così ad una comprensione sempre più profonda di noi stessi e del mondo che ci circonda. Grazie alla sua autorevolezza, la psiche contiene anche una capcità destrutturante che impedisce il prolungarsi delle posizioni rigide e assolutistiche. Essa infatti frantuma queste posizioni, le de-struttura riportandole ad altre posizioni e immagini diverse.“ (Garufi B., pag. 14, 2002) Immagini che di per sé in qualche modo guidano e tutelano la personalità cercando di garantirle il miglior equilibrio possibile. Tuttavia, sappiamo bene che l’organismo-uomo è più complesso di qualunque altro organismo vivente e per tale ragione lo sviluppo e la crescita della personalità non può basarsi esclusivamente su un meccanismo istintivo, sia pur importantissimo, quale quello delle immagini interiori. In quanto uomini, abbiamo bisogno dell’aiuto della nostra caratteristica più tipica: la coscienza. Non di una coscienza qualunque, o peggio ancora arrogante e chiusa nelle sue idee e soluzioni, bensì di una coscienza etica, e non solo estetica, capace di recepire e ascoltare con sentimento le immagini interiori che il fondo della psiche di ognuno propone. L’etica rimanda all’azione, all’agire, al chiedersi responsabilmente cosa fare o non fare. Ecco, le immagini interiori richiedono proprio questo tipo di etica che non le derubrichi a „nient’altro che immagini“ senza conseguenze, richiedono una coscienza etica che se ne faccia carico, che le guardi con partecipazione ed intelligenza emotiva per capire in che modo possono entrare a far parte e in che modo stanno tentando di rendere più completa e ampia la nostra esistenza. Per fare un esempio molto radicale da questo punto di vista, possiamo tornare all’autobiografia di Jung: „Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interne. In quegli anni si decise tutto ciò che era essenziale. Tutto cominciò allora. I dettagli successivi sono soltanto complementi e chiarificazioni del materiale che scaturì dall’inconscio, e che da principio sembrava mi travolgesse nelle sue onde. Fu essò però la materia prima di un lavoro che durò tutta la vita“ (Jung, 1961, pag. 219).

Fortunatamente a chiunque di noi basta molto meno rispetto al lavoro psichico che Jung fece su di sé, nulla toglie tuttavia che le immagini interne possano costituire per chiunque la materia prima di cui si ha bisogno per „modellare“ un pochino il mondo e, soprattutto, il proprio modo di abitarlo.

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