Con il termine vaginismo si intende una contrazione involontaria del terzo esterno della vagina e della muscolatura perineale che si verifica nel momento in cui c’è un tentativo di penetrazione mediante il pene, un dito o un oggetto, o al solo immaginare l’atto sessuale, nonostante nella donna sia presente il desiderio di vivere in maniera completa la sessualità. Talvolta la penetrazione è possibile, sia pur molto dolorosa, ma in tal caso si parla di dispareunia. Il vaginismo, nella maggior parte dei casi, favorisce l’insorgenza nella donna di una condotta fobica e/o evitante nei confronti della sessualità: il possibile incontro/momento sessuale finisce con il generare un’ansia così forte da indurla a prediligere, con il passare del tempo, la prospettiva di non trovarsi nemmeno in una situazione potenzialmente occasione di sessualità. Il fatto che il vaginismo dia progressivamente origine a questa condotta evitante e fobica nei riguardi della sessualità, da l’idea di come si tratti di una condizione psichica che tende ad ampliare il suo raggio d’ azione, fino al punto di poter riuscire ad incidere negativamente sul desiderio stesso di vivere la sessualità.
Il vaginismo, vista questa sua peculiarità di estendersi ad altre aree psichiche, quali le paure e i desideri, finisce con l’essere una condizione psicologica capace di interferire pesantemente con la vita della donna vaginismica. Ne limita, e questo pare l’aspetto più immediatamente visibile, la vita di coppia, ma influenza anche il senso che la donna ha di se stessa. E’ spesso fonte di vergogna, di imbarazzo, e di inferiorità. In altre parole, ha la capacità di attivare vissuti psichici con i quali non è semplice confrontarsi. Pone problemi pratici, rende, per esempio, difficili le visite ginecologiche o l’esecuzione del pap-test; ma, soprattutto, spaventa molto la donna nel momento in cui inizia a pensare e ad immaginare che non potrà divenire madre. La possibile mancata maternità è sovente la ragione che spinge la donna affetta da vaginismo a chiedere un aiuto specialistico.
Dopo questa introduzione iniziale sul vaginismo, non vorremmo indurre il lettore a lasciarsi andare ad un certo pessimismo rispetto alle possibilità prognostiche di questo disagio. Va subito chiarito che il vaginismo può essere trattato e curato con successo, e non sarebbe assolutamente esatto considerarlo un disturbo cronico. Dal momento in cui fu osservato “scientificamente” per la prima volta, da parte di Sims nel 1861, ha destato sempre un certo interesse negli addetti ai lavori, e ciò ha permesso di notare come questa condizione fosse dovuta spesso dovuta a cause di insorgenza diverse di caso in caso. In sostanza, le donne affette da vaginismo presentano una sintomatologia piuttosto omogenea, ma che nasconde, oggi come naturalmente anche in passato, la loro storia personale e i vissuti emozionali connessi. Tra i diversi fattori scatenanti sono stati riscontrati un’educazione sessuale molto rigida, primi rapporti sessuali traumatici, esperienze passate di abuso sessuale, un cattivo rapporto con la propria corporeità, la paura inconscia di rimanere incinta, la paura inconsapevole di crescere, e più in generale ci si è domandati come fossero vissute le dimensioni psicologiche inerenti il maschile e il femminile psichico.
Tale attenzione per le cause del vaginismo ha portato la letteratura specialistica a distinguere tra un vaginismo primario, ovvero sia presente fin dagli esordi dell’attività sessuale, ed un vaginismo secondario, sarebbe a dire una forma di vaginismo subentrata nella vita della donna da un certo periodo di vita in poi. Tale distinzione fa generalmente giungere alla conclusione che in caso di vaginismo primario il disturbo sia dovuto a dinamiche prettamente intrapsichiche della donna, mentre una situazione di vaginismo secondario sarebbe legata a difficoltà interpersonali, cioè di relazione di coppia. In ambito terapeutico, tale ricerca delle cause del vaginismo, insieme al tentativo di “ricostruire” la storia di una persona basandosi sulla distinzione appena citata tra vaginismo primario e secondario, è di per sé un fattore terapeutico. Tuttavia, talvolta ciò non è sufficiente perché proprio la distinzione, sia pur utile per molti versi, tra vaginismo primario e secondario rischia di far giungere a conclusioni eccessivamente semplificative. In altre parole, tende a far impostare il discorso clinico in termini troppo dicotomici: o è un problema della donna, o è un problema di coppia, mentre pare più opportuno conservare un’ottica più inclusiva fatta di “e-e” che consideri tale difficoltà sia da un punto divista intrapsichico, sia da una prospettiva interpersonale. Proviamo ad approfondire tale questione. Un particolare merito della psicologia junghiana, dopo che altri studiosi, quali Janet, Flournoy, Breu e Freud, avevano mostrato come la totalità psichica non si esaurisse con il funzionamento psichico dell’Io cosciente, consiste nell’aver dedicato ampi studi alla struttura e ai contenuti dell’inconscio che ci permettono di osservare e “interpretare” i fenomeni psichici contemporaneamente sia da un punto di vista interpersonale che intrapsichico. Infatti, mentre nella teoria freudiana l’inconscio è considerato alla stregua di un ricettacolo di tutto ciò che è scomodo, indesiderato o incompatibile con la personalità cosciente, nella teoresi junghiana è presente una distinzione tra inconscio personale e inconscio collettivo particolarmente utile a tal proposito. Scrive Jung, in “Tipi Psicologici” e in “L’io e L’Inconscio” (1921; 1928), che l’inconscio personale contiene “tutte le acquisizioni dell’esistenza personale, dunque cose dimenticate, rimosse, percepite, pensate e sentite al di sotto della soglia di coscienza.” Continua, lo stesso passo appena citato, dicendo: “Accanto a questi contenuti inconsci personali, esistono però altri contenuti che non provengono da acquisizioni personali, ma dalla possibilità di funzionamento che la psiche ha ereditato, e cioè dalla struttura cerebrale ereditata. Queste sono le trame mitologiche, i motivi e le immagini, che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica.” Gli studi su immagini presenti ovunque, da Jung chiamate immagini archetipiche, hanno poi mostrato come in ogni individuo sia presente una controparte sessuale psichica: il maschile nella donna, e il femminile nell’uomo, designati rispettivamente dallo stesso Jung con i termini latini Animus e Anima. Queste due espressioni indicano complessi funzionali particolarmente importanti all’interno dell’economia psichica, perché svolgono un’attività compensatrice nei confronti delle caratteristiche manifeste del singolo individuo. Questa loro particolare significatività psichica è dovuta al fatto che sono elementi psichici che traggono la loro provenienza sia dall’inconscio collettivo, sia “dall’esperienza dell’altro sesso che ognuno fa nel corso della propria vita” (Emma Jung, pag. 36, ed. ita. 1992). Ciò fa si che costituiscano un contrappeso psichico con cui la coscienza non può non confrontarsi proprio perché racchiude in esso l’esperienza individuale e specifica che un uomo o una donna fanno delle figure femminili o maschili incontrate nella realtà esterna, con qualcosa che affonda le sue radici nell’inconscio collettivo; ed inoltre, essendo il momento in cui individuale e collettivo si incontrano, inevitabilmente ha un certo peso nella scelta del/della partner.
Tornando al vaginismo, trasportando il discorso relativo alla controparte sessuale psichica presente nella donna, possiamo chiederci che rapporto ha la donna con il maschile interno e quello esterno e che rapporto intercorre tra le due forme di maschile. Così facendo, possiamo per esempio notare come ritenere il vaginismo secondario soltanto un problema di coppia, perché insorto in seguito al rapporto con un specifico partner, possa essere riduttivo. Così come il pensare il vaginismo primario legato solo ad una alla donna, senza immaginare che esso abbia una qualche relazione con il maschile esterno, potrebbe essere altrettanto riduttivo. Facciamo un piccolo esempio che aiuti a capire meglio quanto appena affermato. Prendiamo il caso di una ragazza poco più che ventenne, con già diverse relazioni sessuali alle spalle, che con il fidanzato attuale soffre di vaginismo. Inizia ad avere la fantasia, piuttosto diffusa nelle donne vaginismiche, di avere la vagina piccola. Naturalmente la vagina non presenta nessun deficit organico, e potremmo quindi chiederci se il principio maschile soffochi in qualche modo quello femminile. E’ il ragazzo reale ed esterno ad essere “prevaricante”? E la ragazza stessa che per qualche motivo ha iniziato ad avere un atteggiamento svalutante e aggressivo, incarnato da un maschile interno, verso la propria femminilità? Possiamo immaginare una certa relazione bidirezionale tra esperienza reale esterna e maschile interno, dove un aspetto finisce con l’influenzare e l’essere influenzato dall’altro, ma non possiamo essere certi di cosa venga prima. L’esperienza reale esterna potrebbe aver “toccato”, smosso, qualche dinamica interna, slatentizzando qualche contenuto che era già presente sullo sfondo; oppure un certo maschile interno potrebbe essere “visto” e attribuito al partner, finendo con l’ influenzare il modo di porsi di quest’ultimo.
Naturalmente le risposte a quesiti del genere le troveremmo approfondendo il caso specifico, cosa che adesso non riusciremmo a fare, ma tutto ciò viene detto per sottolineare come il vaginismo, per essere adeguatamente trattato, necessità di una visione in grado di restituirgli una certa complessità. Una complessità che permetta di raggiungere sfumature di consapevolezza capaci di sciogliere quei nodi psichici che tanto peso hanno nella condizione vaginismica.