Il Sé come Specchio Interno

Il Sé come Specchio Interno In circa venti anni, cioè tra il 2002 e il 2021, 1,4 milioni di italiani – dati Istat – si sono trasferiti all’estero. Numeri importanti, che lo diventano ancora di più se si considera che negli ultimi dieci anni del periodo oggetto di indagine il fenomeno in esame è parso in aumento. Nel 2019, per esempio, 122mila persone, naturalmente per lo più giovani, ovvero coloro con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, hanno lasciato il paese.

Questi dati, già di per sé piuttosto preoccupanti per il nostro andamento demografico, paiono tra l’altro ampiamente sottostimati, poiché conteggiano solo coloro che si sono iscritti presso l’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, e che contemporaneamente si sono cancellati dai registri anagrafici dei comuni provenienza: naturalmente moltissime persone – per le più diverse ragioni che non staremo qui ad elencare – non hanno preceduto in tal senso, rendendo così i dati ufficiali piuttosto lontani da quelli che potrebbero essere i numeri effettivi del fenomeno migrazione. Tutto ciò per dire che evidentemente qualcosa si è rotto nel rapporto di fiducia tra il nostro paese e i tanti ragazzi/e che decidono di partire.

Questo qualcosa di rotto lo possiamo immaginare come un gioco di specchi che non riesce tuttavia a riflettere quanto e come dovrebbe: non si sentono visti per quello che è il loro effettivo potenziale e a loro non piace quanto li circonda, perché il degrado che respirano ovunque fa venire meno sia quell’orgoglio del sentirsi parte di un paese, sia la speranza che lo stesso abbia realmente la capacità di valorizzarli. Senza l’orgoglio di appartenere e senza sentire intorno a sé – il che non significa adulare – una fiduciosa speranza nei propri confronti si fatica, e molto, a crescere. Questo processo qui appena accennato è piuttosto simile a quanto accade in ogni ambito familiare. Così come il bambino ha bisogno di un genitore forte, capace, solido per rivedersi, per specchiarsi, in qualcosa di forte per essere contento di appartenere ad una certa famiglia e ad un certo gruppo sociale; così il giovane adulto ha bisogno di vedere che le cose intorno a sé funzionino in un certo modo per evitare sia di lasciarsi andare, sia di perdere prospettive. James Hillman diceva che “l’ambiente inquina” l’animo di una persona, ed è forse per questo che tanti ragazzi/e prediligono andare altrove: per non perdersi, per non inquinarsi, per non rassegnarsi ad un futuro precario. Interessante a tal proposito osservare in quali paesi emigrino: il 75% di chi lascia l’Italia rimane comunque in Europa, e all’interno di questa cornice sceglie per lo più il Regno Unito e la Germania, seguite nelle preferenze da Svizzera, Francia e Spagna. Al di fuori dell’Europa, i nostri ragazzi/e, optano principalmente per gli Stati Uniti; poche tutte le altre mete. In sintesi, si tratta di paesi in cui possono essere visti e vedersi meglio. In termini psicologici potremmo dire che si tratta di paesi con uno specchio funzionante, ovvero di nazioni che riescono a riconoscere a valorizzare gli aspetti potenzialmente positivi presenti in questi ragazzi/e. Comprensibile, e difficile biasimarli per questa ricerca di uno specchio – paese nel complesso più adeguato. Tuttavia, non sempre questa scelta di andare all’estero risulta poi soddisfacente: alcune volte è, per così dire, la scarpa giusta per quella specifica persona; altre volte, per le più svariate ragioni, no.

Considerando tutto ciò e tralasciando volutamente considerazioni sociologiche, in questo contesto possiamo solo limitarci a chiederci se esistano specchi psichici – non provenienti quindi dall’esterno – che permettano di orientarsi al meglio rispetto al capire se si sta compiendo la scelta giusta oppure no. In altre parole, sono solo gli altri a poterci rispecchiare e riconoscere o esiste un qualche specchio interno? Rispondiamo subito dicendo che tale proprietà riflettente, tipica di qualunque specchio, la troviamo nei sogni. Anche se il linguaggio comune è infarcito di espressioni simili ad “ho sognato”, nel sogno noi siamo più che altro visti, poiché è innegabile che mentre dormiamo una parte della psiche cerca di restituirci qualcosa sul nostro conto attraverso una serie di immagini che in nessun modo possono essere attribuibili all’Io cosciente. Se così stanno le cose, da cosa e da chi siamo visti? Carl Gustav Jung sostiene che il sogno provenga dal Sé, da egli definito al contempo centro – in quanto fattore di ordine e di senso in senso alla psiche – e totalità psichica, in quanto capace di contenere tutti gli altri elementi. Un grande specchio – per alcuni versi – che riesce quindi, proprio attraverso i sogni in primis, a rimandare qualcosa su cui il sognatore dovrebbe riflettersi e riflettere.

Per rendere meglio l’idea del rapporto tra Sé e Io, Jung afferma che il Sé per mezzo dei sogni è come se inviasse delle lettere all’Io. Dal nostro punto di osservazione, cercando di leggere queste lettere – i sogni – del Sé all’Io, possiamo cercare di dedurre qualcosa sul modo di vedere del Sé, sul suo modo quindi di essere uno specchio. Considerate singolarmente queste lettere, è come se cercassero di dire qualcosa sull’atteggiamento da adottare da parte del sognatore in specifiche circostanze: talvolta è come se suggerissero di essere più attivi, altre volte più prudenti; in talune circostanze è come se consigliassero di gettarsi nella mischia, in talaltre di rimanerne fuori; in altre ancora è come se indicassero un approccio più femminile verso una certa situazione, in altre più maschile; e via dicendo. Da questa angolazione, ovvero considerando ogni lettera-sogno a sé stante, possiamo osservare di quanto si tratti di uno specchio calato e impegnato nella vita spaziale e temporale del singolo sognatore, quasi come se volesse sostenerlo rispetto alle difficoltà del qui e ora. Non a caso Marie-Louise Von Franz, dopo aver esaminato migliaia e migliaia di sogni, ha scritto: “I sogni non sono in grado di preservarci dalle vicissitudini esistenziali, dalle malattie e dagli eventi tristi. Ci offrono, invece, una linea di condotta sul come rapportarci a questi eventi”. E noi nel nostro piccolo non possiamo che concordare con questa grande studiosa.

Se le lettere-sogno le consideriamo globalmente anziché singolarmente e proviamo a leggerle come una sequenza, riusciamo a cogliere ad un altro livello lo sguardo del Sé: non solo un qualcosa di impegnato nel qui e ora, ma un qualcosa che ha una prospettiva più ampia. Come scrive Jung, è come se questo archetipo centrale della personalità avesse a cuore il processo di individuazione del singolo, ovvero quel processo psicologico per cui una persona diviene compiutamente sé stessa. Il sogno “è natura” afferma il maestro zurighese, ed è come se volesse aiutare quella singola persona a sviluppare la sua peculiare e specifica natura. Da questa prospettiva, l’insieme delle lettere sogno costituiscono uno specchio che cerca di mostrare una certa strada per una certa persona. Da ciò ne deriva un’implicazione pratica di non poco conto: se il Sé costituisce uno specchio in grado di indicare una strada – per evitare di smarrirsi – è necessario guardarlo ogni qual volta ci si trova davanti ad una scelta o ad una qualunque una decisione importante da prendere nella propria vita.

Lavorando con molti giovani, tante volte in analisi si pone la questione se trasferirsi o meno all’estero: andando oltre – per ragioni di privacy – specifiche situazioni, è interessante osservare come talvolta i sogni sembrerebbero dare una sorta di “via libera” a tale decisione, mentre in altre parrebbero non gradirla affatto. Da cosa possono dipendere risposte tanto diverse? Probabilmente in alcuni casi il Sé ritiene che il trasferirsi all’estero sia in linea con lo sviluppo della personalità di quella singola persona, poiché valuta che in un altro paese potrebbe sviluppare al meglio caratteristiche psicologiche che le sarebbero necessarie nel suo complesso; altre volte, per un altro sognatore, pare invece ritenere che quella medesima scelta sia da sfavorire, poiché verosimilmente la considera simile ad una fuga o ad una ricerca eccessiva di sicurezza, evidentemente entrambe possibilità poco utili alla crescita della personalità di quella determinata persona.

Come si può immaginare da queste poche righe, si tratta di uno specchio esigente per l’Io, sia perché talvolta mostra cose che non si vorrebbero vedere, sia talvolta perché è proprio di difficile lettura. E’ uno specchio ampio e profondo, che ricorre a categorie di comprensione quasi sconosciute per il povero Io – come questa dello sviluppo individuativo – il quale è invece in genere mosso per lo più dall’utilità economico-pratica di una certa decisione che non da altro. E ciò è comprensibilmente frustrante per la coscienza di un individuo. Tuttavia, per quanto non semplice, per l’Io può essere davvero importante cercare di specchiarsi nel Sé, ovvero di chiedersi come viene visto da questa istanza psichica, perché rispecchiarsi in qualcosa di più grande, capace di inglobare in quanto capace di vedere aspetti di noi stessi che noi stessi non riusciamo a vedere, è quanto di più prossimo al trovare quel senso di solidità e sicurezza interiore legato al desiderio di essere visti da un Altro significativo che da sempre ci abita.

In fin dei conti non è questo – sarebbe a dire l’essere visti per quel che si è – quello che ogni bambino chiede alla propria famiglia, o un giovane adulto al proprio paese? Solo che questa volta questa possibilità di essere visti la si può trovare dentro di sé, grazie a questo misterioso specchio di cui la natura psichica ci ha fornito, che offre anche il vantaggio aggiuntivo – assolutamente non trascurabile – di essere uno specchio che non perde mai di vista la natura psicologica della persona che viene riflessa.

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