La gelosia ha sempre suscitato l’interesse della psicologia e della psicoanalisi. Uno dei primi studiosi sull’argomento è stato Sigmund Freud. In “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità”(1922), egli ha classificato la gelosia in tre diverse tipologie: quella competitiva o normale; quella proiettata; e infine quella delirante. La gelosia competitiva o normale è connessa ad un vissuto di lutto legato alla possibile perdita della persona amata. Trova manifestazione tramite l’espressione di sentimenti ostili verso il rivale, ma anche attraverso un atteggiamento critico rispetto a se stessi. La gelosia proiettata, come il nome stesso suggerisce, consiste nell’attribuire proprie pulsioni, o una reale infedeltà, sull’altro. La gelosia delirante è, sempre secondo Freud, legata ad un’omosessualità latente. Per difendersi da questo impulso vissuto dal soggetto come troppo ingombrante, é come se una persona dicesse: “Non sono io che lo desidero, ma è lei che lo ama.” Altra celebre studiosa, proveniente dal mondo psicoanalitico, della gelosia è stata Melanie Klein, la quale ha sottolineato oltre alla presenza del terzo, reale o immaginario che sia, il fatto che essa la si capisce meglio se la si differenzia dall’invidia, condizione, quest’ultima, che è in un certo senso parente stretto della gelosia. Solo che la gelosia si esperisce verso qualcosa che si teme di perdere, mentre l’invidia si nutre verso qualcosa o qualcuno che si vorrebbe avere. Gli psicologi evoluzionisti, invece, hanno studiato la gelosia cercando di capire che funzione essa abbia svolto rispetto alla sopravvivenza e all’evoluzione della nostra specie: secondo alcuni studi la gelosia è comparsa agli albori dell’uomo e serviva al maschio per evitare la presenza di figli illegittimi, e alla femmina per assicurarsi che il maschio non la lasciasse sprovvista di quanto necessario alla sopravvivenza propria e della prole.
Nonostante tanta attenzione per l’argomento, è difficile fornire una definizione precisa ed univoca della gelosia. Un aiuto a tal proposito ce lo offre l’etimologia della parola, che coglie un aspetto essenziale della gelosia. “Gelosia” proviene dal latino “zelus” e significa zelo, cura scrupolosa. In effetti, una persona gelosa diviene molto zelante: può iniziare a frugare nella posta dell’altro, a guardarne il telefono, gli sms, le chat, a monitorare le spese, o il contachilometri della macchina, a scrutare le assenze, gli orari, i ritardi, in un vortice che rischia di trasformarsi via via in un controllo sempre più asfissiante, pesante sia per il controllore che per il controllato. Rispetto a tutto ciò risuonano emblematiche le parole di Roland Barthes: “Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri”.
Di suo, tuttavia, la gelosia appartiene naturalmente alla dimensione umana. Basti pensare al fatto che chiunque ha avuto modo di sperimentarla nella vita: con la nascita di un fratellino o di una sorellina, verso un genitore, verso un gruppo significativo, e via dicendo. Considerando tutto ciò, ovvero sia che la gelosia costituisce una sofferenza in primo luogo per il geloso, e che appare connaturata all’esistenza, viene spontaneo riflettere su una questione: come ci si può relazionare a questa delicata condizione del nostro animo? Limitando il discorso alla gelosia in amore, si può dire che in primo luogo va sezionata. Scomposta negli elementi emotivi che la sostanziano. Molte volte sotto la crosta della gelosia c’è invidia, altre rabbia, altre ancora un sentirsi fragili e inutili. Il comune denominatore di tutto questo calderone di emozioni, è la paura dell’abbandono. E chi vuol fare i conti con la propria gelosia, inevitabilmente deve misurarsi con il timore atavico dell’abbandono. Si può ipotizzare che il timore di essere abbandonati diventi più forte nel momento in cui nella coppia ci sono delle incomprensioni, dei malintesi, aspetti e/o situazioni non “digeriti”. Ma di tutto ciò non si riesce a discutere, cominciano allora silenzi, irrigidimenti, diffidenze. Per quanto il non comunicare venga messo in atto per eludere possibili conflitti e tensioni proprio con lo scopo di arginare l’intima paura di essere abbandonati, paradossalmente, la fa crescere. Una sorte di “demone” interiore che si alimenta del silenzio quotidiano. Cosa si può fare rispetto a tutto ciò?
Generalmente si ritiene che l’amore sia l’incontro tra due metà, in realtà è l’incontro, per così dire, tra due uno. Ne “L’Arte di Amare”, Erich Fromm, ha osservato come una coppia ben funzionante faccia perno su una certa condizione dei due singoli individui che la compongono, condizione che Fromm ha descritto metaforicamente come la capacità di saper camminare o stare in piedi senza il sussidio di grucce. Per camminare autonomamente è necessario essere in relazione con quella controparte presente in ognuno di noi, il maschile nella donna, e il femminile nell’uomo. Come ha ampiamente documentato la psicologia analitica di Carl Gustav Jung, nella psiche di ognuno sono presenti elementi psichici di segno opposto rispetto al genere biologico di appartenenza, volti a far sì che una persona possa divenire più completa. E lavorando sulla propria totalità psichica, si può essere in maniera soddisfacente in relazione con l’Altro. In sostanza, e la contemporanea presenza di un Io e un Tu che permette la strutturazione di un Noi. Il lavoro su se stessi può depotenziare la paura di essere abbandonati, ma il coraggio di parlare, di stare in relazione, lo si può trovare anche mettendo in conto e accettando profondamente la possibilità che l’amore possa essere fonte di ferite. Questo è un grande insegnamento dei padri della psicoanalisi, ai quali in conclusione di questo breve articolo lasciamo la parola. Ha scritto Freud: “Non siamo mai così privi di difese, come nel momento in cui amiamo.” Gli ha fatto eco Jung: “Il problema dell’amore è una delle grandi sofferenze dell’umanità e nessuno dovrebbe vergognarsi di pagare il suo tributo.” E ricordare tutto ciò può essere un aiuto nel vivere in maniera meno intensa la propria gelosia.