Pubblichiamo un articolo curato dal Prof. Michele Illiceto del 15-01-2017, che a pochi giorni dalla scomparsa del grande sociologo polacco Zygmunt Bauman, ripercorre il pensiero di questo studioso che probabilmente più di ogni altro è riuscito a cogliere gli aspetti “liquidi” della nostra post-modernità.
Zygmunt Bauman è stato uno degli autori che più mi ha accompagnato in questi anni di studio, di insegnamento e di scrittore. Cominciando dal mio primo libro del 2007 dedicato alla religiosità nel tempo della secolarizzazione fino ad arrivare all’ultimo che uscirà a fine gennaio e che proprio nel titolo, “Madri, padri e figli nella società liquida. Antropologia dei legami familiari”, ha un riferimento al grande sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Egli come è noto è stato il teorico della cosiddetta “Modernità liquida”, termine con cui ha voluto indicare quel periodo che dagli anni ’60 in poi è stato definito da altri studiosi come postmodernità, tarda modernità, capitalismo maturo, modernità riflessiva ecc. Si tratta di una categoria molto sfruttata spesso anche a sproposito con il rischio di ridurre la complessità del pensiero di questo autore a formulette semplicistiche che nulla hanno a che fare con la profonda proposta teorica che egli ci ha consegnato.
Modernità liquida significa soprattutto che tutto ciò che prima era considerato solido (idea di Dio, identità, soggetto, relazione, verità, idea di Stato-Nazione, etc….) si è andato liquefacendo. Tra questi sopratutto il concetto di tempo e di spazio, dove “La distanza non è un ostacolo al tenersi in contatto − ma il tenersi in contatto non è un ostacolo all’essere distanti” (Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Laterza, Roa-Bari 2004, p. 87).
Questo significa che oggi tutto è percorribile e tutto è avvicinabile, tutto è disponibile e accaparrabile per essere consumato, e ciò avviene con estrema velocità in brevi attimi di tempo perché se lo spazio si è liquefatto il tempo si è ristretto. Riducendo il tempo dell’attesa e trasformando i bisogni in semplici capricci. E le distanze che si sono ridotte, anziché avvicinarci ci hanno allontanato, isolandoci ancor più gli uni dagli altri. Riprendendo un’espressione di Baudelaire, Bauman definisce mondo liquido quella realtà che se spezzata in numerosi frammenti ognuno di essi può esistere separatamente.
L’affermarsi di questo nuovo scenario è stato favorito anche dall’avvento della globalizzazione che ha determinato un rovesciamento di poteri, determinando quello che Bauman, in una intervista di qualche anno fa rilasciata l’11 settembre del 2012 a il Messaggero ha definito “divorzio tra la politica e il potere”. Infatti, “Il potere è la capacità di esercitare un comando. E la politica quella di prendere decisioni, di orientarle in un senso o nell’altro. Gli stati-nazione avevano il potere di decidere e una sovranità territoriale. Ma questo meccanismo è stato completamente travolto dalla globalizzazione. Perché la globalizzazione ha globalizzato il vero potere scavalcando la politica”. In tale situazione “la mancanza di decisioni e l’impotenza dei governi attivano atteggiamenti nazionalistici di popolazioni che si sentivano meglio tutelate dal vecchio sistema. Viviamo in una condizione di vuoto, paragonabile all’idea di interregnum di cui parlava Gramsci: c’è un vecchio sistema che non funziona più ma non ne abbiamo ancora uno alternativo, che ne prenda il posto”.
Altri aspetti della modernità liquida sono la deregolamentazione e flessibilizzazione dei rapporti sociali. Ciò ha determinato per certi aspetti la crisi della comunità (cfr. Voglia di comunità, Laterza 2001) dove il divario tra l’individuo de jure e l’individuo de facto si è fortemente radicalizzato. “Oggi – afferma Bauman – è la sfera pubblica a dover essere difesa dall’invasione del privato, e ciò paradossalmente, al fine di accrescere, non di ridurre, la libertà individuale” (Modernità liquida, Roma – Bari, Laterza, 2003 p. 48). Ora, se “Il mondo pieno di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca” (Modernità liquida, p. 62), allora “scegliere” è diventato sempre più difficile a causa del fatto che l’individuo è sempre più solo e isolato: è così si ha un rovesciamento, dove un’eccessiva libertà, sempre più difficile da gestire, anziché essere una risorsa diventa un problema o meglio una sfida a cui non tutti sono preparati.
Questi aspetti rimandano ad un’altra categoria chiave con cui Bauman legge la Modernità liquida: l’insicurezza che a parer suo «assomiglia alla sensazione che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di pilotaggio è vuota» (La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2003, p. 28).
L’insicurezza a sua volta rimanda alla situazione di radicale incertezza. In un altro testo molto importante dal titolo La società dell’incertezza (Il Mulino, 1999) Bauman analizza alcune figure emblematiche del passaggio dal moderno al postmoderno. In primo luogo analizza il “pellegrino”, figura simbolo dell’età moderna, che rappresenta il ritratto dell’uomo che sta costruendo la sua vita, il suo futuro, la sua identità: ha un futuro e una mèta che danno senso al suo presente. Simbolo della stabilità e della durata nel tempo, il pellegrino lascia il posto al flàneur prima e al vagabondo poi. Il flàneur (bighellone) viveva la vita «come se»; ha messo fine all’opposizione tra «apparenza» e «realtà»; era il creatore che non riparava i danni della creazione, il maestro che non aveva da temere le conseguenze delle sue azioni, il coraggioso che non doveva mai pagare i conti. Il flàneur aveva tutti i piaceri della vita moderna senza i tormenti che ne derivano. Poi c’è il “vagabondo” la cui caratteristica è la mancanza di radici e di stabilità, esattamente come si presenta il mondo in cui ora si trova a vivere. Altra figura interessante è quella del “turista”, il quale, a differenza del “vagabondo”, ha una casa ma si sposta temporaneamente alla continua e febbrile ricerca di sensazioni e piaceri però sempre “cosciente e sistematico”. Infine si impone la figura del “giocatore” per il quale il tempo altro non è se non una successione di partite da giocare e in cui divagare e distrarsi.
Stando a queste ultime figure, Bauman per definire l’identità dell’uomo postmoderno (Intervista sull’identità, Laterza Roma-Bari, 2003), ricorre alla metafora dell’uomo modulare: al pari dei mobili componibili, la nostra identità non è determinata alla nascita, ma mutevole, multiforme, sempre aperta a nuove possibilità, sicché l’uomo di oggi «non è senza qualità, ne ha troppe» (La solitudine del cittadino globale,p.160).
Si viene a creare in tal modo un fenomeno di profondo atomismo sociale dove siamo tutti un poco più soli accentuando situazioni già in atto di forte disgregazione. Per consolarci preferiamo comportarci più come dei consumatori che come dei cittadini. “Il consumismo – scrive Bauman – non consiste nell’«accumulare» beni (chi ammassa beni si ritrova anche con valigie pesanti e case ingombre), ma nell’usarli e quindi nello «smaltirli» per fare posto ad altri beni da usare” (Amore liquido, p. 69).
Si viene così a creare quello che Bauman definisce Homo Consumens (Erickson, 2007) cioè un tipo di individuo ripiegato su se stesso che si sente più componente di uno “sciame” piuttosto che sentirsi membro di una comunità. E questo perchè “il consumo è un’ attività solitaria (è perfino l’archetipo della solitudine) anche quando avviene in compagnia” (Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Edizioni Erickson, Gardolo 2007, p. 49). Egli dice che “homo oeconomicus e homo consumens sono uomini e donne privi di legami sociali” (Amore liquido, p. 97). A differenza della comunità o dei gruppi, “Gli sciami – annota il nostro filosofo – non sono squadre, nello sciame non c’è scambio né cooperazione ma solo vicinanza fisica e direzione” (Homo consumens, p. 49).
L’ambito che più ha risentito di tali radicali cambiamenti è quello affettivo relativo ai legami. In uno dei suoi libri più famosi, Amore liquido, Bauman ha messo in evidenza le fragilità di oggi, studiando in modo particolare i legami ispirati al modello consumistico ed edonistico. Egli parla di un “uomo senza legami” quasi a parafrasare L’uomo senza qualità di R. Musil: “uomini e donne disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare relazioni” [sono] al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni “stabili”, per non dire definitive, poiché paventano che tale relazione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di … si, avete indovinato, di instaurare relazioni” (Amore liquido, Prefazione, p. VI).
Alle “relazioni” abbiamo sostituito le “connessioni”, e anziché parlare di “partner” preferiamo parlare di “reti”. Perché questa sostituzione? Sostiene Bauman, “a differenza di «relazioni», «parentele», «partnership» e di nozioni simili che puntano l’accento sul reciproco impegno ed escludono o passano sotto silenzio il loro opposto, il disimpegno e il distacco, il termine «rete» indica un contesto in cui è possibile con pari facilità entrare e uscire; impossibile immaginare una rete che non consenta entrambe le attività. In una rete, connettersi e sconnettersi sono entrambe scelte legittime, godono del medesimo status e hanno pari rilevanza” (Amore liquido, Prefazione, p. XI).
In tale scenario postmoderno l’amore è come una “fragile zattera che ondeggia tra due nefasti scogli su cui tanti rapporti si infrangono: sottomissione totale e potere totale, accettazione supina e prevaricazione arrogante, rinuncia alla propria autonomia e distruzione dell’autonomia del partner” (Amore liquido, p. 24). Ed è difficile avere relazioni vere con gli altri perché difficile è anche saper stare da soli con se stessi. La relazione è ormai come “una zattera con a bordo un marinaio inesperto che, cresciuto nell’epoca dei pezzi di ricambio, non ha mai imparato l’arte della riparazione” (Amore liquido, p. 24).
Tutto questo accade perché in fondo siamo tutti un po’più soli e non sappiamo, come dice Bauman, che “La solitudine genera insicurezza” (Amore liquido, p. 23), e una volta “insinuato il tarlo dell’insicurezza, la navigazione non è mai sicura, ragionata e tranquilla. Senza timone, la fragile zattera della relazione” è destinata a naufragare” (Amore liquido, p. 23-24).
Come rimediare a questo amore liquido che si trova diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame? Forse soltanto rompendo il circolo vizioso del consumismo compulsivo e riprenderci la bellezza dei legami autentici perchè come scrive Bauman “Possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana” (“Le emozioni passano i sentimenti vanno coltivati”, intervista rilasciata a La Repubblica il 20 novembre 2012).
In altri termini è necessario intraprende la logica della cura che esige senso di responsabilità ma anche un poco di abnegazione, perché “L’amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l’uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere ri-generato, ri-creato e resuscitato ogni giorno”.