Anoressia

anoressiaIl termine anoressia si riferisce ad un disturbo del comportamento alimentare caratterizzato dalla riduzione volontaria dell’assunzione di cibo, legata ad una persistente distorsione della propria immagine corporea, che conduce la persona anoressica ad una perdita di peso molto significativa. Nei casi più estremi tale perdita di peso deve necessariamente essere affrontata attraverso il ricovero ospedaliero, utile ad evitare il decesso, tuttavia la stragrande maggioranza di pazienti anoressici può essere aiutata, sin dall’inizio, da un intervento psicoterapeutico ben mirato, capace di rispondere alla domanda: “Come mai la persona anoressica utilizza questo stile di vita per rapportarsi agli altri e al mondo?”Per rispondere a questa domanda, gli psicoanalisti di orientamento relazionale, su tutti Mitchell (1988), hanno sottolineato come la persona anoressica abbia un cattivo rapporto con la propria madre: il rifiuto del cibo, secondo questo autore, è sia un modo per esprimere il proprio disprezzo/rifiuto verso la figura materna, da sempre dispensatrice di cibo, sia un tentativo di differenziarsi dalla madre stessa.Studiosi di orientamento familiare, per esempio Minuchin e Salvini Palazzoli (1978), hanno spiegato l’anoressia osservando come il comportamento del paziente anoressico, essendo sempre stato visto come il “bambino bravo, ubbidiente e perfetto” dai suoi genitori, permetta di fatto, attraverso il suo “improvviso” rifiuto del cibo, al sistema-famiglia nel suo complesso di evitare di fronteggiare quei cambiamenti  che la crescita dei figli inevitabilmente comporta per tutta la famiglia. Dal nostro punto di vista è opportuno considerare in ambito terapeutico, oltre alle ipotesi degli autori sopra citati, il fatto che il paziente anoressico potrebbe avere un più generale problema di crescita psicologica. Infatti, buona parte degli anoressici, sono adolescenti che devono trovare la loro dimensione nella vita, che devono rendersi più autonomi dalla famiglia, che devono far fronte alle prime relazioni amorose, che si trovano improvvisamente soprafatti da desideri e bisogni sconosciuti all’età dell’infanzia. Così, se da una parte le persone anoressiche si mostrano scrupolose e perfezioniste nel raggiungere gli obiettivi che si pongono, dall’altra non affrontando i nodi che il periodo adolescenziale impone ed inducendo una certa (più che comprensibile) preoccupazione nei genitori per la propria condizione, di fatto, vengono a trovarsi in una posizione di maggiore dipendenza dalla famiglia da cui invece dovrebbero iniziare a divincolarsi.In termini generici possiamo dire che il paziente è costretto dall’anoressia ad affrontare il compito riguardante l’integrazione dei vari aspetti della personalità, al fine di riuscire a superare questa condizione psicologica: gli aspetti per così dire più ascetici, evidenti nella voglia di dominare sul corpo, e in un certo senso spirituali (si pensi, per esempio, che Santa Chiara quando morì pesava solo 33 Kg), necessitano di essere armonizzati con i bisogni più istintivi e materiali, che in maniera piuttosto esplosiva si manifestano nell’adolescenza. Per far ciò la coppia terapeutica paziente-analista si trova dinanzi alla sfida di dover integrare e non reprimere l’Ombra, cioè quella parte di noi stessi fatta di istinti, di impulsi, di naturalezza, che l’anoressica/o vede come il fumo negli occhi, ma che in realtà può arricchire, fornire il sale all’esistenza, se la coscienza riesce a trovare un buon rapporto con essa, proprio perché permette di arrivare ad una maggiore accettazione di se stessi e ad un senso d’identità più realistico.

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