Lo Sviluppo Femminile in Erich Neumann

Lo Sviluppo Femminile in Erich NeumannNon diversamente da altri studiosi, per esempio dal biologo Portmann o dallo psicoanalista Winnicott, Erich Neumann ha osservato come l’infante nei primi mesi di vita non percepisca l’altro come separato da sé. A differenza di altri, rivelando in tal modo una certa originalità, si è tuttavia domandato come cambi lo sviluppo della bambina da quello del bambino nel momento in cui entrambi effettivamente considerano l’altro come Altro da sé. Per la bambina l’Altro, generalmente la madre, non è poi così diverso.  

E’ un Tu verso cui si sperimenta una naturale affinità e con cui ci si può identificare, mentre per il bambino maschio l’Altro è portatore di una diversità così radicale da non poter essere fonte di identificazione. Riflettendo su questa differenza, Neumann ha potuto studiare lo sviluppo delle donne da una prospettiva femminile senza dover necessariamente sovrapporre quanto accade nel rapporto madre-figlia con la relazione madre-figlio. Errore, quest’ultimo, su cui la psicoanalisi è spesso scivolata [1]. Le osservazioni di Neumann implicano che la bambina può trovare la sua identità nel rapporto primario, mentre il bambino maschio deve cercare la sua identità al di fuori di esso. Nel rapporto primario la figlia sperimenta protezione, nutrizione, calore, fiducia, accoglienza, e identificandosi con la madre sviluppa in lei stessa queste qualità. Peculiarità, psichicamente parlando, femminili in cui la bambina può sia “rivedersi” facilmente, sia stabilire un contatto con la sua naturale capacità di essere empatica e relazionale verso gli altri. Un piccolo esempio di ciò è possibile trarlo da una semplice situazione di vita quotidiana, alla portata di chiunque abbia la possibilità di interagire con delle bambine: nel momento in cui giocano sono spesso particolarmente materne. Per esempio nel giocare con le bambole. Naturalmente, segnala Neumann, il trovare la propria identità all’interno del rapporto primario può costituire anche un limite. Per la donna trovare la propria identità esclusivamente nel rapporto con la madre, fase definita da Neumann uroborica matriarcale o fase dell’autoconservazione, può infatti comportare, per usare un’espressione di Jung (1938-1954), un’ipertrofia del complesso materno all’interno della propria economia psichica. In termini maggiormente relazionali e comportamentali, è come se la donna corresse il rischio di vivere solamente in funzione del ruolo di madre una volta divenuta tale, e/o di figlia disponibile e devota alla famiglia d’origine. Dimensioni psichiche che una donna riconosce facilmente come proprie, ma che rischiano di schiacciarla psicologicamente se non sufficientemente controbilanciate da altri abiti mentali. Restando nell’uroboro matriarcale la donna si espone al rischio di farsi confinare, o di auto-confinarsi, in un ruolo specifico. Come in puntualmente le è, almeno in Occidente, storicamente accaduto.

Basandosi sui concetti junghiani di Animus e Anima, ovvero di una componente psichica maschile nella donna e di una componente femminile nell’uomo, Neumann si è chiesto come irrompa il maschile psicologico nella relazione madre-figlia. Attingendo dalla mitologia, ha notato come il maschile compaia sotto forma di rapimento, come nel racconto che vede coinvolta la coppia madre-figlia Demetra-Kore e Ade, oppure come nuvola fecondante, come vento, come pioggia, come lampo, o come un qualsiasi altro fattore capace di rompere l’equilibrio esistente. Una sorta di spirito che strappa, afferra e porta via. In termini maggiormente psicologici, secondo Erich Neumann, ciò significa che l’irruzione del maschile costituisce una “rottura” del rapporto primario. Ad un livello personale, ciò è spesso rappresentato dall’incontro della bambina con il padre reale, figura, per così dire, capace di portarla al di fuori del suo giardino di casa. In questo passaggio che Neumann definisce il passaggio dall’uroboro matriarcale a quello patriarcale la bambina si spinge oltre il suo perimetro naturale. Si apre a ciò che è estraneo, ed è come se venisse rapita da questo mondo di idee, di spirito, di astrazione appartenete, psichicamente parlando, al maschile. E in ciò sperimenta un conflitto, perché, osserva sempre Neumann, nella fase dell’uroboro patriarcale è così presa dal maschile da essere portata a svalutare ciò che è femminile. Come se in questa fase ci fosse una svalutazione della vecchia dimensione psichica, quella femminile, in favore della nuova, maschile, emergente. Tale passaggio, da una totalità psichica nettamente dominata una componente psichica femminile ad una dove prevale una componente maschile, secondo Neumann è fisiologicamente insito nello sviluppo della bambina, anche a prescindere dalle qualità reali dei genitori [2]. Scrive testualmente a tal proposito: “Proprio come l’organismo si sviluppa secondo un modello transpersonale determinato dall’inizio, insieme al sistema nervoso centrale incorporato dello sviluppo, così’ anche noi abbiamo una struttura archetipica della psiche che si dispiega da sola. In essa la predominanza di un archetipo è soppiantata da quella di un altro, costruendo così una struttura gerarchica. Il dispiegarsi di un archetipo, ad esempio quello del padre, segue necessariamente il dispiegarsi di un altro, quello della madre” (Neumann, 1959, pag. 126). Ad un livello di sviluppo individuale, osserva lo stesso Neumann, la fissazione alla fase dell’uroboro patriarcale la si nota talvolta quando in una donna adulta è troppo forte il legame psicologico con il padre. In un certo senso, è come se fosse troppo presente in ella lo spirito della figura paterna e come se tale presenza ingombrante impedisse di far crescere una propria visione e un proprio modo di navigare nella vita. In mitologia ciò è esemplificato magistralmente dalle vicende della dea Atena partorita  direttamente dalla testa di suo padre Zeus. Ciò implica come nello sviluppo psicologico femminile sia necessario andare oltre la fase uroborica patriarcale, perché ovviamente lo sviluppo psicologico di una donna non può realizzarsi con la predominanza dell’elemento psichico maschile a discapito di quello femminile. Capendo ciò, possiamo dire che Neumann ha colto come per ogni donna sia assolutamente basilare trovare un buon equilibrio tra femminile e maschile psichico. Muovendo i suoi studi in tale direzione, è riuscito di fatto a descrivere una tematica realmente centrale per ogni donna: la necessità di rapportarsi ad una dimensione maschile, ma in un modo che sia autenticamente fecondo per la propria base femminile e al contempo evolutivo anche per il lato maschile della personalità.

Tornando al lavoro di Neumann, non a caso l’autore ha descritto altre due fasi dello sviluppo psicologico della bambina, l’eroe liberatore e l’incontro con il maschile individuale, necessarie al raggiungimento di un buon rapporto tra maschile e femminile psichico. L’eroe libera dall’uroboro patriarcale, spinge il cuore oltre l’ostacolo, realizza la grande impresa e permette in virtù di tutto ciò un rapporto più paritario tra maschile e femminile. Questo eroe, secondo Neumann, lo si trova spesso nelle fiabe ed l’eroe capace di liberare la principessa  o la vergine dal drago. In termini psicologici è quel fattore che permette un rinnovamento dei valori della personalità. La posizione eroica tuttavia non può essere sostenuta per sempre, per tal motivo, aggiunge Neumann, deve evolvere verso un rapporto individuale tra maschile e femminile, ovvero sia una relazione psicologica dove per la donna stessa è chiaro il senso e il valore reciproco delle due parti, per evitare la possibilità che si torni al prevalere di una delle due precedenti fasi uroboriche.

A questo punto viene spontaneo chiedersi, come può la donna coltivare un buon rapporto personale tra il suo maschile e il suo femminile psichico? E’ importante tentare di rispondere a ciò, perché la donna ogni giorno può esperire su se stessa tale questione. Per esempio, una donna, diversamente da un uomo, può vivere con colpa il lavorare, come se stesse danneggiando qualche affetto familiare e/o come se stesse dedicando poco spazio a qualche altro lato di sé. Silvia Di Lorenzo, autrice del bel saggio “La Donna e la sua Ombra”(1976), sottolinea come la donna ancora oggi corra sempre il rischio di giudicarsi da una prospettiva patriarcale e come per evitare ciò debba cercare di ascoltare la sua complessità. Carl Gustav Jung paragona la complessità psichica ad un cristallo molto sfaccettato, ed è naturale, commenta lo stesso Jung, che un osservatore possa prendere maggiormente in esame un lato anziché su un altro. Perdendo di vista, così facendo, la completezza del cristallo. Di Lorenzo, ancorandosi a questa metafora di Jung, rimarca come la donna debba cercare di “vedere” i suoi lati contemporaneamente. Una visione d’insieme che richiede uno sguardo creativo. Visione d’insieme, aggiunge la Di Lorenzo, verso cui le donne sono naturalmente attrezzate perché proprio nel rapporto primario hanno sviluppato una capacità di empatia e di attenzione che contiene in sé la possibilità di guardare in maniera ampia e completa. Attenzione ed empatia che in tal caso devono essere rivolte verso l’interno per riuscire in quell’ascolto senza pregiudizi da cui può originare una consapevolezza animata da un profondo eros verso tutte le proprie sfaccettature e in virtù di ciò capace di generare una fruttuosa sintesi individuale tra maschile e femminile psichico.

[1] La psicoanalisi freudiana considera la fase edipica, ovvero quel periodo in cui si prova “attrazione” per il genitore di sesso opposto, un momento cruciale dello sviluppo psicologico del bambino e della bambina. Secondo Freud, intorno ai 4-5 anni, il bambino desidera per se la madre e sperimenta una certa rivalità, mista di aggressività e gelosia, verso il padre. Tale fase verrà superata dal bambino identificandosi con il padre anche sotto il peso di un’angoscia che egli definisce di “castrazione”. La bambina, d’altro canto, esperisce un certo attaccamento verso il padre ed anche lei si trova a fare i conti con l’angoscia di castrazione. Tuttavia, nella vita psichica della donna il complesso di castrazione si configura, secondo Freud, come un  presupposto e non come una conseguenza: la bambina sa che le manca qualcosa e immagina di “aver posseduto una volta un membro altrettanto grande e di averlo perduto per evirazione” (Freud, 1924, pag. 32). In altre parole, secondo il fondatore della psicoanalisi, la bambina incolpa la madre per l’assenza del pene ed invidia il padre perché lo ha. Risolvendo tale conflitto identificandosi con la madre, la bambina supera la fase edipica, ma allo stesso tempo accetta una sua presunta inferiorità rispetto all’uomo. Evidentemente tale teoria freudiana risente del clima patriarcale di quel periodo, non a caso mostra il grosso limite di studiare le donne dando per scontata una superiorità maschile. In altre parole, rispetto alla questione dello sviluppo femminile la teoria di Freud si è limitata a ripetere inconsapevolmente l’humus culturale del periodo stesso in cui è sorta.

[2] In ciò la posizione di Neumann pare troppo radicale. Se da una parte il passaggio dal femminile psichico al maschile psichico per una bambina costituisce una fase naturale e ineluttabile del processo di crescita, dall’altra parte anche i genitori reali indubbiamente svolgono un certo ruolo nel facilitare o nell’impedire questo passo dello sviluppo psicologico. E nel suo lavoro Neumann pare trascurare un pochino questo secondo, ma non secondario, aspetto della questione. Per esempio, tende a sottovalutare come un rapporto personale negativo tra madre e figlia, paradossalmente, non faciliti il passaggio verso l’incontro con il maschile psichico. In realtà la posizione di Neumann tiene poco conto, come osserva Edinger, del fatto che una struttura archetipica deve incarnarsi in una figura reale per potersi attualizzare.

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