“Non esiste un bambino senza la madre”, diceva Donald Winnicott. Questa affermazione di questo acuto studioso dell’infanzia fa subito capire come la dipendenza sia una dimensione esistenziale intrinseca all’essere umano. Come ha infatti ampiamente documentato la teoria dell’attaccamento di Bowlby, il bambino, e in maniera diversa l’adulto poi, ha la necessità di sviluppare e mantenere solidi legami affettivi per tutelare la propria salute mentale e per godere della possibilità psichica di scoprire se stesso e il proprio potenziale. Paradossalmente, quindi, buone dipendenze aiutano a crescere e fanno muovere verso un’indipendenza autentica che non poggia sulla negazione dell’altro, bensì su un rapporto paritario con esso in cui se ne riconosce la specificità e il valore. Quanto detto sino adesso implica la necessità di non svalutare aprioristicamente la dimensione psichica della dipendenza, in favore di un atteggiamento di ricerca, come fa notare lo psicoanalista italiano Vittorio Lingiardi (2005), volto a distinguere tra dipendenze sane e dipendenze patologiche. Le dipendenze sane, o se si preferisce dei buoni legami di attaccamento, aiutano nella regolazione dei propri stati affettivi e forniscono quel giusto sostegno psicologico che aiuta nell’affrontare la vita. Se ci pensa un attimo, ciò lo ritroviamo in maniera netta nel bambino che apprende, grazie alla relazione con chi se ne prende cura, a riconoscere il cosa prova e il cosa gli accade; ma anche nell’adolescente, che affronta le turbolenze dell’adolescenza, con la vicinanza emotiva del gruppo dei pari; o nell’adulto che si confronta e condivide il suo navigare nella vita con il/la partner. Le dipendenze patologiche, invece, più che favorire la “digestione” dei propri stati emotivi e offrire un sostegno rispetto alle difficoltà di vari periodi del ciclo vitale, fungono da elemento che permette di eludere il contatto psicologico con tutto ciò. Ovviamente, presentando un conto molto salato. Pensiamo per un istante alle dipendenze più classiche, quelle da sostanze o da alcool: di fatto evitano, monopolizzando tutta l’energia psichica e il comportamento della persona, di entrare in relazione con i propri vissuti, con i propri bisogni, con le proprie paure, finendo così con il congelare lo scorrere della vita.
Le dipendenze, tuttavia, non sono sempre così linearmente classificabili e facilmente valutabili come quelle esposte poc’anzi. Talvolta, per esempio, può essere presente la costante tendenza a bere un pochino troppo senza che si sia minimamente prossimi ad una diagnosi di alcolismo; altre volte si può notare come alcune persone tendano a mangiare con una modalità vorace, quasi a placare qualche istanza interna, senza che il tutto possa neanche lontanamente essere considerato un disturbo alimentare; altre volte, e recentemente ciò pare davvero frequente, le persone mostrano una certa inclinazione all’irritazione quando impossibilitate a connettersi con Internet, mail, e quant’altro. Abitudini quotidiane, più o meno presenti in tutti, che dovremmo forse ritenere dipendenze sottili. Se così, come considerarle? Un qualcosa che favorisce crescita e sviluppo nella capacità di regolare i propri vissuti psicologici, quindi qualcosa di vicino alle dipendenze sane, o un qualcosa che tende a bloccare la vita psichica, così come accade per le dipendenze patologiche?
Per cercare di rispondere a tale questione pare più opportuno “affrontare” le dipendenze sottili con valutazioni qualitative, anziché quantitative, che facilitino nel capire che funzione possa svolgere una dipendenza sottile in un determinato individuo in un determinato momento della sua vita. Per esempio, se cerchiamo di valutare il comportamento “bere”, più che fare riferimento ad una quantità-soglia da tenere d’occhio, che teoricamente potrebbe variare da organismo ad organismo, sembrerebbe maggiormente utile fermarsi a riflettere sulle modalità che accompagnano il bere. Come da sempre noto, in alcuni casi l’azione del bere, non a caso in “vino veritas”, può favorire la scoperta di sé e la socializzazione con gli altri. In altre occasioni, come ha osservato il responsabile del Centro di riferimento alcologico della regione Lazio, Mauro Ceccanti, la tendenza al bere di più può manifestarsi in concomitanza di momenti vissuti come stressanti. Per esempio, in occasione di una separazione significativa. In questa seconda evenienza, il bere andrebbe forse visto come un campanello d’allarme qualitativo da non sottovalutare, capace di informarci su un malessere psicologico complessivo, probabilmente non così palese, che sta vivendo la persona. Discorso analogo può essere esteso alla necessità di essere sempre connesso. Potrebbe costituire sia un momento di incubazione per avvicinarsi a persone o attività sconosciute, oppure una sorta di rito privato ripetitivo e automatico che simula l’essere in relazione senza realmente esserlo. Se il tutto accade, per esempio, in una fase della vita in cui ci si sente feriti e non si ha veramente voglia di incontrare il nuovo, forse tale tendenza al connettersi costantemente assume una valenza psicologica da non trascurare. Anche in questo caso, quindi, ha un certo peso il quando di tale dipendenza sottile, e non solo il quanto inteso come numero di ore trascorse in connessione.
Dando importanza a valutazioni qualitative, si può notare come le dipendenze sottili siano tendenzialmente insidiose nei momenti di crisi psicologica. In quel frangente possono trasformarsi da qualcosa che arricchisce la vita in qualcosa che ne blocca il fluire. Nei momenti di crisi è spesso presente, qualche volta un pochino sotto traccia, la fantasia di tornare ad una condizione pre-crisi. Un adolescente in crisi potrebbe per esempio essere attraversato dal desiderio di voler tornare bambino; l’adulto da poco separato vorrebbe sovente in cuor suo possedere la bacchetta magica per tornare al periodo precedente la separazione. Tuttavia l’adolescente sa anche bene che non può che andare verso l’età adulta, così come la persona separata è spesso ben conscia che una certa storia costituisce ormai una pagina chiusa della propria esistenza. In qualche modo è presente la consapevolezza dell’evenienza che bisogna andare avanti, cioè che la crisi richiede di per sé la necessità di raggiungere un nuovo modo di relazionarsi al proprio mondo interno e all’ambiente circostante, e ci si muove con naturale fiducia verso tale direzione. Nelle dipendenze sottili, invece, pare vagamente incrinata proprio questa naturale fiducia nel fatto che la crisi psicologica che si sta vivendo possa conoscere uno sbocco positivo, anche se, allo stesso tempo, è ben presente l’idea che il tutto non si possa risolvere tornando allo stato precedente. Ritornando al nostro esempio di poco sopra, la persona che tende a bere in relazione alla sua separazione sa che non si può semplicemente azzerare tutto, tuttavia fatica a cogliere delle possibilità potenzialmente evolutive nel periodo che sta vivendo. E’ un pochino come se fosse ferma in mezzo ad un guado. Ernest Bernhard, un pioniere della psicologia analitica in Italia, ha colto un elemento particolare che può presentarsi a chi si trova costretto a fronteggiare un guado: la possibilità che si perda il senso della propria traversata. Riflessione meritevole quest’ultima, e vissuta peraltro in prima persona dallo stesso Berhnard, perché avveniva nel momento in cui si trovava rinchiuso nel campo di concentramento di Ferramonti. In quel periodo difficilissimo, Bernhard, riuscì a sopravvivere solo riuscendo a trovare un senso alla crisi generale e personale che stava vivendo. In altre parole, riuscendo a trovare un senso al proprio destino personale. Mentre in assenza di senso a cadere è in primo luogo la fiducia verso il divenire, con tutto il carico di malessere psicologico che poi ne consegue. Fortunatamente non tutti i guadi e le crisi sono così intensamente drammatiche, ma rimane, per chi si trova in mezzo a qualunque guado, la necessità di non eludere la questione del Senso con la connessa fiducia verso l’avvenire. Ed è proprio in questa assenza di prospettiva che può trovare terreno fertile una dipendenza sottile. In un certo senso essa agisce come un piccolo aiuto nel tentativo di attenuare l’impatto della crisi, per renderla meno intensa, e per evitare, almeno così suggerisce l’osservazione clinica, un eventuale cascarci totalmente dentro. Come se ci fosse il timore che la crisi possa spazzare via tutta la propria vita. Un voler evitare una caduta, che può però comportare un rimanere sottilmente sospesi a tempo indeterminato tra un non più, e non un ancora. Perché la dipendenza sottile trascura che il cadere spesso non è che la premessa del rialzarsi.