Partiamo da una ricerca che può aiutarci a comprendere meglio la vita sociale degli adolescenti della generazione Z. Recentemente, l’università di Harvard ha realizzato uno studio in cui ha chiesto a circa 500 giovani di rispondere ad una sola semplice domanda, sempre la stessa, ripetuta in tre diversi momenti della medesima giornata: nell’ora precedente hai parlato con un’altra persona dal vivo oppure online?
Il 52% degli intervistati ha dichiarato di non aver parlato con nessuno, il 39% ha detto di aver avuto solo un contatto online, e solo il restante 9% ha riferito di aver incontrato un interlocutore in presenza. La ricerca in questione ha anche rivelato che il tempo medio giornaliero trascorso da questi stessi ragazzi/e sui social oscilla tra le 6 e le 8 ore. Per lo più si tratta di un tempo passivo, nel quale l’adolescente passa da un contenuto digitale all’altro, limitandosi ad essere uno spettatore di quanto gli viene proposto.
Questo tanto tempo passato a scrollare, per usare un termine contemporaneo, può avere delle conseguenze su più livelli. Da un punto di vista cognitivo, può causare problemi di attenzione e concentrazione per via dei troppi contenuti stimolo che, essendo appunto in forte sovrannumero, non possono essere assorbiti, se non in una maniera vagamente confusa e caotica. Per ricorrere ad un’espressione della studiosa spagnola Delia Rodriguez, è come se l’adolescente eccessivamente stimolato corresse il rischio di trovarsi a vivere dentro una “nebbia mentale” da cui fatica poi ad uscire. Da un punto di vista emotivo, il continuo scrollare potrebbe invece comportare una solitudine intensa e difficile da reggere e sostenere.
Questo aspetto della solitudine è il più arduo da affrontare. Se infatti i problemi di concentrazione e attenzione possono essere attenuati aiutando i ragazzi sia a disconnettersi un po’ dai social, sia facilitandoli nel trovare dei modi di fare più lenti per realizzare quanto vogliono o debbono fare, per quanto riguarda la solitudine è meno facile invertire il trend, poiché, dinanzi ad essa è come se dovessero proprio apprendere un modo diverso di approcciarsi a sé stessi e alla realtà. Difatti, la realtà digitale, o meglio l’uso che se ne fa, induce spesso verso un continuo confronto con gli altri, dal quale l’adolescente ne esce il più delle volte malconcio. Detto con altre parole, i ragazzi e le ragazze che assistono continuamente a performance sui social di coetanei che sembrerebbero – il condizionale è usato intenzionalmente – avere qualcosa di speciale, mentre loro non sarebbero che dei comuni mortali senza nulla di particolare, finiscono, non di rado, con il trovarsi in difficoltà. Per via di questa competizione sociale esasperata, la loro autostima rischia a tutti gli effetti di precipitare rovinosamente verso il basso, rendendoli, talvolta, degli adolescenti anomali: poco inclini a sperimentare e a lanciarsi nel grande gioco della vita. In altre parole, in questi ragazzi eccesso di confronto social può generare rassegnazione, tristezza, e non di rado anche una certa paura del futuro. E quando ciò si verifica, come in un perfetto circolo vizioso, più questi adolescenti continuano a vivere sui social e di social, perché di fatto quella è la loro realtà, l’unica che conoscono, più il loro malessere rischia di accentuarsi. Per risollevarsi sono quindi “costretti” ad avvicinarsi in maniera differente alla realtà, ovvero è come se avessero la necessità di riscoprire la realtà esterna. Da questa prospettiva è interessante notare come nei sogni di persone giovani molto spesso non compaiono, o ad ogni modo meno di quanto ci potrebbe attendere, i cellulari: è come se nei sogni essi lasciassero di sovente spazio ad altro, ad azioni per alcuni versi semplici, come il vedere una partita di calcio in Tv con degli amici, come il mangiare una pizza in compagnia, o persino come il fare una bravata insieme. In sostanza, nei sogni adolescenziali è come se venisse molto marcata la dimensione dello stare insieme, del noi, aspetto, quest’ultimo, che non è affatto detto che venga favorito dai social.
Dall’amplissimo lavoro di Carl Gustav Jung sui sogni, sappiamo che essi hanno un rapporto di compensazione con la coscienza, ovvero tentano di segnalare al sognatore l’unilateralità dell’atteggiamento che abitualmente assume nei confronti di un qualche aspetto della sua vita e della sua realtà. Il che non significa che tale atteggiamento sia errato, significa solo che dovrebbe essere anche affiancato da altro. Riportando questo discorso sul rapporto che l’adolescente ha con i cellulari e con i social, esso implica che non sia un male in sé, tuttavia necessita certamente di essere integrato e accompagnato da qualcosa che tocchi il noi nella vita di un singolo individuo. E questo qualcosa che tocca il noi, transita per la realtà esterna, per l’avere una passione comune da condividere con altri in carne e ossa, per il vivere la propria comunità, per il frequentare la propria città. Qualche tempo fa mi è capitato di suggerire ad un giovane paziente di fare, di tanto in tanto, una passeggiata a piedi, mi ha risposto dicendomi che non avrebbe saputo dove andare. Questo brevissimo aneddoto racconta, forse più e meglio di tante parole, le difficoltà degli adolescenti odierni, che noi adulti, tra l’altro, cresciuti in un altro periodo storico, fatichiamo spesso nel comprendere.
Ormai parecchi anni addietro, James Hillman ha sostenuto che “la bellezza è il rimosso del nostro tempo”, parafrasandolo potremmo dire che, oggi come oggi, è la realtà esterna a costituire il rimosso del nostro tempo, o quanto meno a costituire un altro aspetto del rimosso dei nostri giorni. E un percorso di psicoterapia con un adolescente, in sintesi, non può permettersi di trascurare ciò.