Se c’è un periodo della vita che più di ogni altro può essere paragonato ad una seconda nascita, persino da un punto di vista biologico, questo periodo è senza dubbio l’adolescenza. Se infatti è vero che ogni fase della vita comporta dei cambiamenti psichici e fisici, si pensi per esempio all’età infantile o all’invecchiamento, è anche vero che i cambiamenti che impone l’adolescenza si caratterizzano per il loro presentarsi in modo drammaticamente rapido, rapidità per lo più estranea agli altri periodi dell’esistenza.La comparsa delle mestruazioni e la assunzione di forme femminili nelle ragazze, lo sviluppo muscolare virile, la crescita della barba, dei peli, il cambio della voce, e soprattutto la maturazione psicofisica che predispone verso l’attività sessuale, rendono l’adolescenza un periodo che impone necessariamente dei cambiamenti psichici, semplicemente perché tutte le trasformazioni sopraelencate “accadono” senza possibilità di opporvisi.
I cambiamenti adolescenziali impongono al giovane di confrontarsi con alcuni “nodi” chiave della vita, che possiamo sintetizzare in questa maniera: la necessità di separarsi psicologicamente dai propri genitori per poter ricercare, trovare e costruire la propria identità personale.
Storicamente, questo processo di costruzione della propria identità personale, trovava un inizio e una fine con l’iniziare della pubertà e i diciannove/venti anni. Attualmente invece l’adolescenza si prolunga ben oltre i 20 anni, non a caso molti autori, ha avuto modo di far notare Giorgio Cavallari (2003), parlano di “adolescenza interminabile”.
Le cause di questa interminabilità dell’adolescenza vanno ricercate sia in aspetti sociali che in aspetti psicologici. Da un punto di vista sociologico ci sono almeno 2 fattori che differenziano la società contemporanea da quella appena precedente: l’assenza di guerre che vedano direttamente coinvolti un numero di persone esorbitante (basti pensare alle due guerre mondiali del secolo scorso), e l’essere passati da famiglie molto numerose a famiglie nucleari con pochissimi figli.
Sia le guerre, sia le famiglie numerose “spingevano” il giovane adolescente a diventare subito adulto: le guerre e la povertà tipica delle famiglie numerose costringevano di fatto gli adolescenti ad uscire di casa, a procurarsi un reddito, e a trovare con velocità un loro posto nel mondo. Oggi, fortunatamente, queste pressioni sociali esercitate da guerre e povertà sono venute meno e di conseguenza ciò ha inevitabilmente rallentato il processo adolescenziale.
Tuttavia, i soli cambiamenti socio-economici non spiegano la contemporanea interminabilità dell’adolescenza. Per capire meglio le nuove adolescenze dobbiamo fermarci ad analizzare i cambiamenti psicologici che hanno investito le figure genitoriali. In altre parole, è cambiato il modo in cui i genitori vivono e interpretano la paternità e la maternità. Per esempio, i padri tradizionali, con il loro carattere autorevole, dominante, spesso e volentieri eccessivamente autoritari, creavano una tensione tale nell’adolescente, che di fatto facilitavano nell’adolescente stesso il desiderio di formarsi una propria famiglia. Cioè, i padri di una volta creavano conflitto con i figli, e quest’ultimi uscivano dal conflitto diventando adulti. I padri attuali, quando sono realmente presenti, tendono ad essere molto più affettivi che normativi (Zoja 2001), sanno stare molto più in relazione con i figli, ma hanno un pochino perso la loro funzione classica di spingere la prole verso l’esterno.
Anche le madri sono cambiate: le madri di qualche decennio fa avevano molti figli e decidevano, forse sarebbe meglio dire accettavano, di diventare madri e mogli perché quello era il solo destino che una società essenzialmente patriarcale riservava loro, mentre le madri attuali lo divengono perché scelgono consapevolmente di esserlo. Divengono madre più tardi, sono più mature rispetto alle loro antenate, ed hanno meno figli. Ciò vuol dire che psicologicamente investono di più sui figli, anche perché spesso ne hanno uno solo.
Tutto ciò, anche se spesso, e ciò non è poco, trasmette un maggiore calore emotivo ai figli rispetto al recente passato, influenza anche la durata del processo adolescenziale perché sostanzialmente è cambiato il terreno psichico su cui si dipana l’adolescenza. Semplificando un pochino, da un punto di vista psicologico, si può dire che mentre una volta l’adolescente veniva energicamente spinto dalla famiglia e dalla società in genere a divenire adulto, al giorno d’oggi deve lottare per raggiungere la condizione adulta.
Perché mai gli adolescenti di oggi dovrebbero lottare per divenire adulti? Proviamo a rispondere con un esempio. Molti giovani di oggi, dopo aver terminato gli studi, si trovano in una condizione lavorativa precaria e per uscire di casa forse dovrebbero anche pagare un affitto. Insomma, una situazione oggettivamente difficile. Hanno dei propositi, dei progetti, ma interviene la voce razionale della famiglia d’origine, e forse più nello specifico della propria madre: “Qui da noi, è più comodo. Hai tutto lavato, non devi cucinare, a fine mese risparmi facilmente e se vuoi puoi permetterti vacanze, ristoranti, svaghi.” Effettivamente viene proposta una situazione comoda, certamente in perfetta buona fede, perché si vuol proteggere il proprio figlio/a. Una situazione appunto in cui si può però rimanere impantanati per l’eternità. Continuare a vivere, psicologicamente parlando, in una situazione protetta finisce infatti con il produrre una stasi esistenziale da cui è poi sempre più difficile uscire. L’eccesso di protezione con il tempo porta a vivere in una condizione di irrealtà, di regressione, perché conduce l’individuo a voler rimanere ancorato per sempre alla famiglia d’origine. In altre parole il non saper rinunciare alla protezione genitoriale, mi si permetta l’espressione, fa scivolare verso una condizione puerile.
L’adolescente è quindi costretto a lottare con tutto se stesso per evitare che tutto ciò accada, è costretto a lottare per non svegliarsi un giorno e scoprire di essere anagraficamente adulto senza aver vissuto da adulto.
Marie-Louise Von Franz, nel suo libro “Il processo d’individuazione nella fiaba” (1987), descrive con dovizia di particolari le qualità dell’eroe, ne sottolinea in particolar modo un aspetto: “Se si studiano gli eroi della mitologia comparata, si scoprirà che sono contraddistinti da una vocazione che realizzano senza la minima esitazione.” (Von Franz, 1987, pag. 90) Secondo la Von Franz, ciò denota un’insolita unità della personalità: l’eroe non discute, ma semplicemente sa e fa quello che deve essere fatto. La Von Franz, analista di primissimo piano e profonda conoscitrice di mitologia e fiabe, è ben consapevole del fatto che il comportamento eroico non si incarna mai totalmente in una persona reale, ma è altrettanto ben consapevole del fatto che l’immagine dell’eroe appartiene naturalmente alla psiche umana, in quanto immagine radicata nell’inconscio collettivo di noi tutti. Da qui ne deriva il suo potenziale “curativo”. Infatti, secondo la Von Franz, l’immagine dell’eroe si attiva nella psiche inconscia, per esempio inizia a comparire nei sogni, nel momento in cui una persona non riesce a superare certe difficoltà esistenziali. In sostanza, la psiche inconscia cerca di aiutare la parte più cosciente della personalità ad andare oltre le sue difficoltà.
Adesso, tornando sul nostro discorso relativo all’interminabilità dell’adolescenza, possiamo notare che gli adolescenti contemporanei hanno bisogno di assumere su di essi l’atteggiamento eroico. Ovviamente non possono essere eroi tout court, ma devono averne l’atteggiamento per riuscire a rinunciare, almeno in buona parte, alla protezione che offre la propria famiglia d’origine.
L’atteggiamento eroico fa volare alti, spinge a credere in qualcosa che al momento ancora non c’è, e proprio in virtù di ciò aiuta l’adolescente a confrontarsi con quella realtà esterna di cui ha tanta paura. L’atteggiamento eroico insegna a fidarsi di se stessi, a saper reggere la frustrazione dei momenti difficili, a saper vincere, ma anche a saper perdere. Inoltre, facendo confrontare l’adolescente con la realtà, l’atteggiamento eroico aiuta nel divenire adulti, perché pone l’adolescente in condizione di poter ricevere una “restituzione sul suo conto” dalla realtà stessa: in ultima istanza, il confronto con la realtà permette cioè all’adolescente di capire meglio chi veramente è, cosa vuole, cosa desidera e cosa può concretamente fare.
In conclusione possiamo dire che se l’adolescenza è diventata interminabile è perché essere adolescenti oggi è difficile, perché il passaggio all’età adulta non è più né scontato, né automatico, bensì è un qualcosa che va conquistato sul campo. E’ un passaggio assolutamente non facile e le risorse per farcela l’adolescente deve trovarle essenzialmente dentro di sé: deve avere il coraggio di fare appello al suo lato eroico per non far spegnere quella fiamma interiore che ci spinge a crescere e divenire quello che più intimamente siamo.