Dal Dicembre 2022 la Commissione Europea ha dato il via libera alla possibilità di utilizzare dati mobili con tecnologia 5G sui voli aerei. Ovvero, tablet, smartphone, ect…, potranno essere usati dai viaggiatori. Per alcuni versi cade uno dei pochi luoghi, l’aereo, caratterizzato da un certo silenzio. Volare infatti non sarà più, con il tempo, così diverso dal viaggiare in treno, mezzo sul quale è quasi impossibile non ascoltare continue suonerie che squillano e assistere involontariamente a telefonate a cui non si è chiesto di partecipare. Naturalmente, va da sé che il problema non sia né l’aereo, né il treno, o qualsiasi altro mezzo di trasporto quali tram – bus – metro, bensì il rumore di fondo che accompagna le nostre vite.
A tutti gli effetti è innegabile che l’inquinamento acustico in genere del nostro quotidiano si attesti sempre su livelli piuttosto elevati. Clacson, voci indistinte ma alte, pubblicità che richiamano l’attenzione, musiche ripetute ossessivamente nei supermercati, nei negozi, o anche nei momenti in cui si assiste ad una partita di tennis o di basket, i nostri ritmi frenetici, i nostri mille impegni, fanno sì che la dimensione del silenzio sia quasi ormai scomparsa dal nostro orizzonte culturale. Si è giunti al punto che alcune persone sono disposte anche a pagare pur di beneficiare di luoghi di silenzio, dove tutto scorre con un tempo più lento, e con una calma e una serenità che non conosciamo quasi più. A tal proposito basti pensare ad alcune comunità religiose o laiche, presenti in Piemonte o in Sicilia ad esempio, che permettono agli ospiti di partecipare, in cambio di somme spesso modeste, alla loro routine giornaliera regolata dal silenzio. E ciò non sorprenda, perché in fin dei conti nei monasteri hanno sempre pensato che il silenzio permettesse di avvicinarsi all’ignoto, al mistero, a ciò che chiamiamo Dio. Tuttavia, nonostante diverse persone siano anche disposte a tirar fuori denaro pur di godere del silenzio, va detto che dai più esso è temuto. Tantissime persone non riescono a stare sole in casa in silenzio, devono necessariamente, anche se magari non stanno prestando una vera attenzione, accendere la TV, o lo stereo, o entrambi, o comunque tenersi impegnate con qualcosa, perché il silenzio lo avvertono come intollerabile. Probabilmente perché ha anche la potenzialità di angosciare evocando in qualche modo il vuoto e/o la fine di qualcosa: la fine di una relazione per esempio, con due persone che tacciono dopo la rottura della loro relazione, oppure, più semplicemente, può porre davanti al pensiero della morte, la silenziosa per eccellenza.
Eppure il silenzio non è mai senza voce. Anche nei casi citati. Se dopo una relazione terminata ce ne stiamo in silenzio, apprendiamo qualcosa su di noi e sull’altro; se restiamo in silenzio davanti ad una lapide, forse riusciamo a pensare e talvolta a dire parole che fino ad allora non eravamo riusciti a pronunciare o neanche a capire che fossero presenti in noi. Paradossalmente il silenzio non è così silenzioso. John Cage, con la sua opera “4,33”, ha voluto che il pubblico osservasse rigorosamente 4 minuti e 33 secondi di silenzio per riuscire a godere completamente della forza espressiva della sua opera. Non a caso il silenzio precede i momenti più creativi e quelle parole dotate di uno spessore e di una profondità capace di smuovere emotivamente, perché esso è la premessa dell’ascolto degli altri e di sé.
Perché allora il silenzio, se ha così tante virtù, lo temiamo così tanto? Il più delle volte tale questione viene ridotta e minimizzata nascondendosi dietro un dire “è la società che funziona e va così..” La domanda invece è lecita, perché ad uno sguardo intellettualmente onesto non potrà sfuggire che non di rado usiamo la tecnologia, e naturalmente ciò non vuol essere una colpevolizzazione della tecnologia, per non stare in silenzio. Si potrebbe ipotizzare allora che il silenzio isoli, e in parte ciò pare vero soprattutto se pensiamo alle persone anziane che sono in genere le più silenziose e quindi le più sole, ma per altre fasce di popolazione questa spiegazione non convince del tutto. Numerosissime persone, infatti, raccontano in analisi di sentirsi profondamente sole, nel senso che sentono di non poter condividere aspetti importanti di sé perché tanto non verranno comprese, anche stando fisicamente sempre in mezzo agli altri.
Se si è soli anche con in mezzo agli altri, deve esserci altro che può aiutarci a capire perché il silenzio mette così in difficoltà. Forse abbiamo una relazione psichica troppo sbrigativa con l’Ombra, intesa nel senso junghiano come quel lato non visto e non considerato sia di qualcosa che accade che di sé. Facciamo un piccolo esempio: una persona compie il compleanno, magari fa 40 anni, una cifra importante e tonda. Alcuni amici e amiche gli organizzano una festa a sorpresa con grande affetto. Lo stesso giorno i genitori del 40enne dimenticano il compleanno del figlio. Quest’ultimo rimane per pochi minuti basito e colpito da questa dimenticanza, dalla non considerazione. Però c’è la festa con gli altri, comprensibilmente pensa che non sia giusto né iniziare a lamentarsi, né mostrarsi imbronciato con il rischio di guastare il clima generale. In sostanza, cerca di voltare pagina e lo fa pensando ad altro, cercando psicologicamente di schiacciare quell’episodio sconcertante. Cerca di rimuovere ciò che non gli piace, l’evento che lo ferisce, e lo fa con il rumore della musica, conversando incessantemente con tutti, stordendosi con l’alcool, o in mille altri modi ancora. In parte ciò funziona, in parte no. Permette di godersi la festa da un lato, da un altro lato non aiuta perché non tiene in debita considerazione l’evenienza che qualcosa di represso a livello psicologico si tramuta in altro. Restando ancora sul nostro esempio, il rimosso del nostro caro 40enne può trasformarsi in freddezza. Una parte di sé, per lo più silente ma pronta all’occorrenza a sbucare fuori, diviene diffidente, astiosa, sfiduciata, pessimista, rabbiosa.
Da tutto ciò ne consegue che ciò che ferisce merita di essere trattato diversamente, e il silenzio per alcuni versi fa emergere con veemenza questa necessità. Se si ricavano infatti degli spazi silenziosi, quel rimosso che fa male viene subito a galla, salta subito fuori, e quindi esso – il silenzio – pone immediatamente la questione del cosa fare con materiale psicologico tanto delicato. Davanti a tale cruciale questione psicologica, si potrebbe facilmente tornare indietro alla “strategia” dello schiacciare quanto ferisce, ma se si resiste a questa possibilità, se non lo si fa, dal silenzio emerge, oltre che il nostro dolore, anche la nostra umanità. Così, il 40enne del nostro aneddoto, in silenzio potrebbe concedersi sia l’opportunità di piangere per quell’episodio di assoluta non considerazione, sia lasciarsi lo spazio per vedere se la ferita di quel giorno non è altro che poi che l’ennesima replica di tanti altri episodi analoghi già vissuti, anche e soprattutto da bambino. E allora forse il suo “compito” sarà quello di voler bene a quel bambino trascurato, di amarlo con eros, di abbracciarlo, e di farsene carico. E forse proprio per tutto ciò il silenzio è tanto inquietante, perché “costringe” ad avere uno sguardo su di sé intriso di un’umanità in precedenza forse mai sperimentata. Non è un qualcosa di così facile da realizzare, ma non è neanche così impossibile da concretizzare come potrebbe sembrare a prima vista. E va detto che rispetto a ciò un buon percorso di psicologia del profondo potrebbe rivelarsi un utilissimo aiuto, perché in primis esso facilita nel coltivare l’arte dello stare, del non fuggire, da qualcosa che tocca e ferisce.