Il bullismo si caratterizza per la presenza di comportamenti intenzionalmente aggressivi dal punto di vista psicologico, fisico e verbale, verso un ragazzo o una ragazza senza che ce ne sia una ragione. Il bullismo è infatti intriso di un’aggressività gratuita che ha il solo scopo di arrecare disagio e/o dolore nella vittima, prendendone di mira o una caratteristica di personalità, o una fisica, o la condizione familiare, o l’etnia. Una persona può così essere criticata per l’altezza, per il timbro di voce, per la sua timidezza, per l’essere sensibile, per l’omosessualità, per la famiglia d’origine, per la provenienza geografica, o per altri aspetti che non dipendono da quella specifica persona, e che né possono essere considerati né un merito, né una colpa.
L’assoluta gratuita del bullismo è ciò che lo contraddistingue dal conflitto, anche sano perché fonte di crescita, che ci può essere tra ragazzi. Il litigio normale, in sostanza, ruota intorno a qualcosa che ha una sua ragione d’essere, il bullismo no. Nelle situazioni più marcate di bullismo si aggiunge il fatto che tutta questa aggressività ingiustificata e intenzionale è costante nel tempo e non solo sporadica.
Rispetto ai decenni precedenti, nei quali il fenomeno bullismo era poco conosciuto, attualmente, anche grazie all’istituzione della Giornata Nazionale contro il Bullismo che si celebra ogni anno il 7 Febbraio, il tema è molto più al centro dell’attenzione scolastica ed educativa al punto che in un certo senso è diventato facile riconoscerlo. Ovvero non è più necessario un occhio particolarmente esperto per capire che si è dinanzi al bullismo, proprio perché la consapevolezza generale dinanzi al fenomeno in questione è notevolmente aumentata.
Fin qui tutto bene, perché dedicare allora un ennesimo, l’ennesimo, articolo al tema? Per svariati ragioni. In primis, il fenomeno è comunque piuttosto diffuso. La Fondazione Openpolis, che si occupa da anni di scuola e povertà educativa, stima che in Italia, su una popolazione di circa 4 milioni di ragazzi compresi tra gli 11 e i 17 anni, quasi uno su due è stato almeno in un’occasione vittima di un episodio che può essere considerato bullismo. All’interno di questo 50% di adolescenti e preadolescenti che hanno subito bullismo, una fetta stimabile intorno al 20% è stata bullizzata in più giorni dello stesso mese, e per un 10% circa il fenomeno è ancora più grave perché quotidiano. Questi numeri di per sé giustificano l’attenzione al fenomeno bullismo.
Ci si potrebbe chiedere perché il tutto sia così dilagante, e questo ci conduce direttamente ad un’altra ragione per cui vale la pena continuare a porre attenzione a questa delicato problema. Esso, il bullismo, muta continuamente. Con ogni probabilità oggigiorno è il cyberbullismo, ovvero quelle manifestazioni di bullismo legate ai social e alle piattaforme digitali, ad essere la variante più pericolosa di bullismo perché legata alle infinite possibilità che la rete può realizzare. Una maldicenza, un soprannome detto con intento dispregiativo, un velenoso pettegolezzo, una derisione sull’aspetto fisico o sul modo di vestire e/o parlare, attraverso i dispositivi tecnologici possono divenire virali in pochissimo tempo. Tutto si allarga a macchia d’olio, a e a rovinare l’immagine sociale di una persona non ci vuole nulla. Il cyberbullismo è un fenomeno inquietante perché gli adolescenti e i preadolescenti hanno in mano degli strumenti potentissimo che, in molti casi, eccedono la loro maturità emotiva. Per esempio, molte ricerche in materia di cyberbullismo dimostrano che gli adolescenti minimizzano le azioni di bullismo compiute tramite la tecnologia, perché è come se le percepissero meno gravi rispetto ad un’azione compiuta nell’interazione di persona non mediata dal dispositivo tecnologico. Un atto di bullismo a distanza è come se fosse sentito come un gesto meno personale, una sorta di banale scherzo di cui gli adolescenti faticano a capire la reale portata e il reale danno. Continuare a parlare di bullismo è necessario anche rispetto a ciò, in modo che possa esserci la possibilità di capire che non ci si può nascondere dietro la tecnologia, perché il cyberbullismo può fare anche più male del bullismo classico.
Altra ragione per cui è assolutamente importante continuare ad occuparsi del tema la troviamo nell’evenienza che il bullismo colpisce ad un’età particolare, quella preadolescenziale e adolescenziale in cui l’identità personale è appena in formazione, quindi il discuterne costituisce per alcuni versi una forma di prevenzione primaria, come si capirà lungo il testo, verso possibili danni all’identità personale del singolo individuo. L’identità, soprattutto in questa fascia di età, si forma attraverso lo sguardo dell’altro. Facciamo un piccolo esempio: un ragazzo di 12-13 anni inizia a scoprire il suo orientamento sessuale e si rende conto di essere attratto da ragazzi dello stesso sesso. Se nel manifestare questa sua tendenza che a egli appare del tutto naturale, riceve giudizi pesanti, battute su una presunta mancanza di virilità, sguardi di penetrante derisione, risatine di scherno dietro le spalle, sarà portato a considerare sé stesso come sbagliato. Come una persona che ha desideri sbagliati, e che prova sentimenti anomali e strani. In maniera analoga questo sguardo intrusivo degli altri si ritrova in tutte le forme di bullismo che vanno a denigrare aspetti che semplicemente appartengono alla persona per tratto caratteriale e/o per storia di vita. Questo sguardo e queste parole che ridicolizzano sono angoscianti per la vittima, le generano paura per il come si relazione, per il come si muove, per il come parla, per quello che dice. La vittima finisce con il mettere troppo in dubbio sé stessa, non si chiede più, come fanno tutti in maniera fisiologica, se fa cose sbagliate, ma si sente ella stessa sbagliata. In altre parole, tramite questo perverso meccanismo di ridicolizzazione della vittima, è l’identità stessa dell’individuo ad essere colpita pesantemente. Parlare di bullismo, se pensiamo a tutto ciò, può quindi voler dire aiutare la vittima a trovare sguardi e parole diverse che possano permetterle sia di capire quello che sta realmente accadendo, sia di ritrovare uno specchio psichico capace di restituirle un’identità personale ben migliore di quella dipinta dal bullo e dai suoi sodali.
Infine c’è un’ultima ragione per cui vale assolutamente la pena continuare a tenere il bullismo sotto i riflettori ed è legata alla circostanza che la maggior parte degli episodi di bullismo accadono, o hanno una connessione, con il mondo della scuola, e questo inevitabilmente finisce con il coinvolgere gli adulti che circondano i ragazzi, cioè professori e genitori. Negli ultimi decenni, cosa evidente per chi ha qualche anno in più sulle spalle, il ruolo genitoriale è interpretato in maniera più orizzontale anziché verticale dai genitori odierni rispetto a quelli delle generazioni precedenti. I genitori di oggi sono più vicini ai figli, li conoscono di più, hanno più intimità con i ragazzi, ma sono anche più protettivi. Talvolta tale protezione è troppa e lo si vede quando i figli vanno a scuola. I genitori di oggi seguono molto lo studio e capiscono forse meglio dei loro genitori l’importanza dell’istruzione, e tutto ciò, in alcune occasioni, si tramuta in un sindacare voti e giudizi dei professori, nel contestarne l’operato, e via dicendo. La scuola, di conseguenza, sentendosi sotto pressione per questa presenza dei genitori così ingombrante, in più di qualche circostanza si chiude a riccio e passa per alcuni versi al contrattacco criticando i genitori per il modo poco fermo ed educato che hanno i ragazzi di stare in classe. Ciò genera degli schieramenti dove un po’ tutti gli attori coinvolti sono sulla difensiva, e ciò non aiuta molto rispetto al bullismo. Un piccolo esempio concreto: quando si scopre una situazione di bullismo, gli adulti spesso si ritrovano gli uni contro gli altri. I genitori della vittima si chiedono dove fossero gli insegnanti, quest’ultimi spesso si difendono parlando di classi “complicate” e minimizzano; i genitori del bullo frequentemente difendono il figlio, non ritenendolo capace di ciò che viene riferito, e cercano responsabilità nella poca vigilanza della scuola o nelle cattive compagnie, o nel degrado sociale o in altro ancora. In breve, un marasma dentro il quale ci si orienta a fatica.
Ciò non viene detto per colpevolizzare nessuno, perché tutti vogliono bene ai ragazzi e ognuno fa del proprio meglio, ma tali dinamiche non possono essere taciute. Anche se non c’è una soluzione rispetto al risolverle. Però già il parlarne, già il solo mostrare ai ragazzi che gli adulti da cui sono circondati sono capaci di impostare alcuni conflitti in maniera più costruttiva può essere loro di aiuto e di esempio nel trovare il coraggio di essere più responsabili delle proprie azioni. E allora il parlare di bullismo non diviene un qualcosa di rituale e di abitudinario, bensì un parlare che inizia a rendere pensabili difficoltà che altrimenti rischiano comunque di passare, un po’ come accadeva nei decenni passati, come dei mali inevitabili che fanno parte della società.