La Paranoia nel Lavoro di James Hillman

ParanoiaUn uomo è convinto di essere morto e dice, con assoluta certezza, al suo medico curante: “Sono morto”. Tra i due inizia subito un’aspra discussione, il medico fa appello ai sentimenti dell’uomo verso la famiglia, verso la vita, ma non ottiene nessun risultato. Il medico, poi, per indurlo a maggiore ragionevolezza fa notare l’intrinseca contraddizione di una frase “sono morto”, per il semplice motivo che un morto non può essere in grado di dire di essere morto. Ma anche queste argomentazioni del medico non sortiscono nessun effetto. Ormai spazientito, il medico chiede: “I morti sanguinano?”. “Certo che no”, risponde con un che di irritazione il paziente, sottolineando come tutti sanno che i morti non sanguinano. Allora, improvvisamente, il medico punge un dito del paziente e da quest’ultimo esce una goccia di sangue, ma dinanzi a tutto ciò il paziente esclama stupito: “Dottore, chi l’avrebbe mai detto, ma anche i morti sanguinano.” Con questo aneddoto clinico, James Hillman ci introduce a quella che egli considera la caratteristica per eccellenza del meccanismo psicologico della paranoia: l’incorreggibilità delle proprie convinzioni dinanzi ad argomentazioni razionali, ben fondate, che mostrano tutti i limiti delle proprie “verità”. Le percezioni e i ragionamenti vengono utilizzati per confermare la propria idea, che, si può dire, prescinde da tutto. Da questa prospettiva, la paranoia, per usare le parole dello stesso Hillman, può essere considerata “una realtà noetica dentro la quale il paziente è fissato e che conferisce significato a tutti gli altri eventi” (Hillman, 1991, pag. 19). In ultima analisi, quindi, per Hillman la paranoia è un disturbo del significato. Lo studioso statunitense suggerisce di prestare attenzione a questo aspetto qualitativo della paranoia, se la si vuol cogliere nella sua essenza psicologica, perché taluni criteri classici indicati dalla psichiatria, quali la pericolosità sociale o la condivisione nel contesto di appartenenza di talune idee, possono, per quanto preziosi, portare un pochino fuori binario. In altre parole, sempre secondo Hillman, la psichiatria è stata talvolta più intenta a cercare di controllare la paranoia da un punto di vista sociale piuttosto che focalizzata nel cogliere la natura più intima di questo meccanismo psichico. A titolo di esempio Hillman, per mostrare i limiti dei parametri più classici usati dalla psichiatria per escludere una diagnosi di paranoia, cita il caso storico del suicidio collettivo di 913 persone avvenuto in Guyana nel 1978. In quell’occasione un numero così alto di persone, ritenute non pericolose e con le stesse idee religiose, spinte dal loro leader carismatico il predicatore Jones, ritenne che la miglior via per ottenere l’integrazione interraziale tra bianchi e neri fosse un suicidio di massa, perché tale gesto avrebbe portato attenzione e benefici alla causa dei neri afroamericani. Se si fosse prestato orecchio, al modo di produrre conoscenza e significati da parte del predicatore Jones e non solo alla sua presunta pericolosità-non pericolosità, forse, e il forse è assolutamente d’obbligo, una tale tragedia, ispirata da una figura nota da anni al governo e al clero statunitense, dice tra le righe Hillman, si sarebbe potuta evitare.

C’è un momento in cui la paranoia si attiva, spunta, per così dire, fuori? Per rispondere a tale domanda, sempre Hillman, analizza il funzionamento tipico del “Potere”. Il Potere di un’autorità, sia essa una semplice associazione senza scopo di lucro o lo Stato centrale, si basa, e qui viene detto in un’accezione neutra e sociologica, su meccanismi di controllo che assicurano il mantenimento del potere, ovverosia la possibilità che una determinata autorità possa influenzare e contribuire a formare la vita dei suoi stessi membri o cittadini. Nel momento in cui il controllo, per una miriade di ragioni, non può essere più esercitato, sostiene Hillman, è il momento in cui il Potere può tramutarsi in paranoico. E quanto vale per un ente e anche quanto accade al singolo individuo. Detto in parole diverse, il momento in cui una singola persona sente di non avere più potere sulla sua vita, avverte di non riuscire ad incidere su di essa, di essere soltanto in balia di quanto accade, è il momento in cui la paranoia può trovare terreno fertile per fare la sua comparsa.

A questo punto del nostro discorso, viene da chiedersi cosa trasforma dei sospetti, delle paure, dei timori che vengono fuori in una fase difficile della propria vita, in una paranoia cronica e incorreggibile? Un fenomeno che si osserva molto spesso nelle persone con un delirio paranoico, in particolar modo nelle persone con un delirio contenente tematiche religiose, è una certa inflazione psichica. Il paziente si sente, e ciò in genere è fonte di angoscia, osservato e studiato da tutti, al centro di pensieri malvagi altrui, oppure è una specie di Messia o persona speciale in qualche campo. In un certo senso, è come se la persona si ritenesse veramente importante, e il punto critico, di rottura, tra l’essere sospettosi, verrebbe da aggiungere in alcune circostanze giustamente sospettosi, e l’essere paranoici è dato dalla relazione psichica che si ha con il sentirsi importanti. Di conseguenza, é come se nella paranoia l’individuo dovesse trovare un rapporto più armonioso con questo nucleo psicologico legato al proprio valore.

Come può avvenire questo recupero? Se la paranoia, come ritiene Hillman, è un disturbo del significato, anche al proprio valore viene quindi attribuito un significato erroneo. Nella concezione junghiana della psiche sono presenti due centri: l’Io, il centro della coscienza, e il Sé, ovverosia un centro ben più vasto che costituisce una sorta di elemento ordinatore della personalità volto a garantire, al tempo stesso e paradossalmente, stabilità ed evoluzione. Il Sé, a differenza dell’Io, si esprime sostanzialmente in maniera simbolica e metaforica, e l’Io deve avere la capacità di cogliere questi messaggi. Si pensi, per esempio, ai sogni, elemento psichico per eccellenza non sotto il controllo dell’Io: possono usare immagini poetiche, arcaiche, mitologiche, condensate, suggestive, per autorappresentare l’assetto psichico con cui il sognatore stesso tende ad affrontare una determinata situazione esistenziale. Possono fungere, cioè, da specchio, utile nel vedere cose non viste. Da questo punto di vista sono espressioni del Se, di questo centro psichico che tende, come dicevamo poco sopra, a produrre un giusto ordine. Il Sé aiuta l’Io ad avere senso della misura, a saper dare il giusto peso, a ridimensionare un qualcosa quando necessario, o a dare maggior peso ad altro che può essere trascurato. Detto tutto ciò, la paranoia, questa percezione alterata dei significati, può essere concettualizzata come il frutto di un cattivo, se non assente, rapporto tra Io e Sé: l’Io, in fasi psichiche particolarmente “stressanti”, non avendo il soccorso della bussola del Sé può finire un pochino con il perdersi nelle proprie ipotesi e congetture e/o con l’innalzarsi troppo, dando così luogo a deliri paranoici. In conclusione di questo breve articolo, possiamo tornare alla domanda relativa al trovare, o al ritrovare, un giusto rapporto con il sentirsi importanti e affermare che esso passa attraverso un ridimensionamento dell’Io, legato ad una maggiore valorizzazione del Sé. Nella paranoia l’Io è ipertrofico, ed un buon percorso psicologico può essere di aiuto, nel correggere l’incorreggibilità paranoica di cui parla Hillman, proprio perché fornisce gli strumenti per avvicinarsi e per ascoltare una propria voce interiore, quella del Sé, capace di trascendere i significati proposti dall’Io. Permettendo, nel caso del delirio paranoico, una correzione che viene dall’interno molto più autorevole di qualsiasi voce esterna.

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